venerdì 24 ottobre 2014

Recensione videogioco: ObsCure 2




Titolo: ObsCure 2
Anno: 2007
Sviluppatore: Hydravision
Distributore: Playlogic
Piattaforme: PC, PS2, Wii, PSP, PSVita
Piattaforma testata: PC



Sono felice di annunciarlo al mondo: Obscure 2 è figo.
E questo con tutte le implicazioni & considerazioni del caso: la serie aveva DAVVERO del potenziale, non ero fuori strada nel vedere buone intenzioni di fondo da parte di Hydravision (che qui offre una solida dimostrazione di saper imparare dai propri errori), e, cosa più sorprendente, a quanto pare è umanamente possibile confezionare un teen horror genuinamente godibile.
E attenzione, non sto parlando di un capolavoro, di un cristallino esempio di arte videoludica, o di un'opera che, attraverso una raffinata sensibilità e un attento gioco di sfumature e sfaccettature vi 
porterà a mettere in discussione tutto ciò in cui avete sempre creduto e vi porterà a mollare la vostra vita in nome di una ritrovata consapevolezza interiore.
No, Obscure 2 è semplicemente un survival horror dove un branco di ragazzotti stupidi per cui la solita routine routine di festini, sbronze, droghe leggere e promiscuità sessuale, viene improvvisamente sostituita da mostri, sangue e scarsità di proiettili; nulla più nulla meno. Quello che distingue Obscure 2 dal prequel, e che sancisce il salto di qualità da un prodotto passabile ma sostanzialmente insipido a un qualcosa che si lascia giocare con autentica soddisfazione, sta "semplicemente" nel carisma. Lasciamo stare per un attimo le scelte e le variazioni di design che in effetti hanno giovato alla qualità complessiva di questo secondo capitolo, il setting più variegato o gli scontati progressi tecnici dopo tre anni dal prototipo; a fare davvero la differenza è il mordente, e a suo modo il coraggio: quello di dare più spazio ai personaggi, renderli in qualche modo più vivi, cercare di creare una qualche empatia tra il giocatore e il proprio avatar... e al momento giusto, spazzare via tutto in nome di una gratuita quanto sanissima cattiveria. Perché sì, sappiamo bene che nel mondo di Obscure succedono spesso cose bruttarelle e tutti possono morire (male, per giunta), ma questa volta c'è da spendere qualche parola in più a riguardo.

La novità più significativa presentata in questo sequel (che -nota di colore- oltreoceano è stato esportato col sottotitolo The Aftermath e con la copertina più ridicolmente spoilertastica mai vista a 
memoria d'uomo, prima o poi scriverò un articolo sull'argomento) è la sostanziale linearità dello svolgimento: al contrario di quanto siamo abituati a tastare con mano in gran parte dei survival horror sulla piazza, abbiamo a che fare con "livelli" e tronconi narrativi a tenuta stagna dove la libertà d'esplorazione e il backtracking sono limitati ai minimi sindacali, con le ovvie conseguenze sul piano della scelta dei protagonisti controllabili. Quant'è vero che rimane intatta l'impostazione di base (due personaggi attivi in contemporanea, scambiabili in ogni momento oppure predisposti al multigiocatore in locale), la possibilità di scegliere i baldi giovini da condurre attravero il nostro pad o tastiera è ora una circostanza limitata a poche occasioni, e in gran parte dei casi più fittizia che altro. Difatti, le abilità uniche proprie di cui i nostri eroi possono usufruire sono strettamente indispensabili per superare ostacoli e registrare progressi. C'è da accedere in qualche area apparentemente fuori mano? State sicuri che l'acrobata e scavezzacollo Corey è in zona. Una serratura elettronica si frappone tra voi e la via del successo? Ho casualmente sottomano Mei, e tutti sanno che non esiste al mondo asiatico che non sia esperto di hacking. Ok, ora resta solo un banale lucchetto e... Oh, ciao Stan, bentornato. Ora, cos'è che eri bravo a fare nel primo gioco che non ricordo bene? Avanzare per accoppiate praticamente fisse finisce col giovare significativamente alla caratterizzazione degli attori in causa, che per l'occasione sembrano aver trovato un'improvvisa personalità e loquacità, contrapposta al generale atteggiamento passivo che ci ha accompagnati nelle precedenti peregrinazioni attraverso il liceo di Leafmore. Com'è intuibile, questo ci forza a tenere in vita a tutti i costi chiunque ricada sotto i nostri input, pena il classico game over e il ritorno all'ultimo dei salvataggi (stavolta relegati a postazioni predefinite e rigorosamente monouso). Ma, un momento. Prima non avevo rimarcato che tutti possono morire? Beh, fate 2+2. Con la differenza che un decesso prematuro non è più un evitabile effetto collaterale della vostra imperizia, ma una parte integrante dello sviluppo del plot... che confermo, mostra un'apprezzabile attitudine verso la crudeltà gratuita, e sembra amare alla follia lo spendere tempo e fatica nel convincervi a prendere in simpatia questo o quell'elemento, per poi falciarlo senza pietà proprio sotto i vostri occhi, e senza il bencheminimo rimorso. Sì Hydravision, ora mi piaci sul serio.
Poi ok, tutto ciò che è di contorno funziona quanto serve. La progettazione dei livelli ha fatto qualche passo in avanti, la revisione delle meccaniche di combattimento, senza fare miracoli porta in dote un
sistema migliorato, i puzzle mostrano qualche guizzo di creatività e di impegno richiesto e tecnicamente il bilancio è positivo, con una grafica invecchiata piuttosto bene e una soundtrack dove Oliver Deriviere si conferma ottimo e ispirato. Insomma, un survival horror riuscito, che si lascia giocare con piacere, e che finalmente riesce a coprire con nonchalanche i propri difetti. 
D'accordo, però a conti fatti il plot è poca cosa, e buona parte degli eventi accade senza un vero perché. 
Vero, ma fottesega, mi sono divertito, e non sento più sta gran voglia di perdermi in sottigliezze. 
Sì, ma che dire dei personaggi? Gira e rigira non sono che un'accozzaglia di collegiali da catalogo. 
Massì, alla fine una volta che li conosci non sono così malaccio. E hanno le birre. 
Va bene, ma vogliamo parlare della virtuale assenza di veri spaventi? 
Eh vabbè, che sarà mai... Per quello ho almeno due copie di praticamente qualunque Silent hill sia mai uscito, stai buono. 
Allora... Uhm... Ecco, giusto. E il tuo odio atavico quanto giustificato per i teen horror? come la mettiamo ora?
Senti, m'hai rotto i coglioni. E non mi importa che tu sia la voce della mia coscienza e del mio io più razionale, che tu stia dicendo tutte cose vere, e che in realtà sto consapevolmente scrivendo tutto da solo giusto per darmi un tono. Quindi, lascia che ti spieghi una cosa: Obscure 2 è figo, e non sono tanto propenso ad accettare argomentazioni contrarie, anche perché sono consapevole dei suoi punti deboli, e semplicemente alla luce di tutto, me ne frega il giusto. Obscure 2 è un pò come guardare un buon horror di serie B, fondamentalmente stupido quanto vuoi, ma con quei pochi accorgimenti per cui finisci a non vergognarti di godertelo ed eleggerlo senza troppe remore come personale "guilty pleasure". Ed è quello che in cuor mio speravo fin da principio per Obscure, quindi per una volta al diavolo la coscienza e il mio io razionale. Loro e tutte quelle solfe sul prossimo party dei Delta Theta Gamma. Cioè, che mai potrà mai succedermi?

Voto: 8/10

giovedì 23 ottobre 2014

Recensione videogioco: ObsCure




Titolo: ObsCure
Anno: 2004
Sviluppatore: Hydravision
Distributore: Dreamcatcher Interactive
Piattaforme: PC, Xbox, PS2
Piattaforma testata: PC


Premessa: Ovvero, sto diventando vecchio? (Nah, sono i giovani d'oggi a fare schifo)

Ok, vi faccio una confessione: odio dal profondo i teen horror.
No, un momento, riformulo: odio i teen horror di nuova generazione, quelli, per intenderci, che tra la fine degli anni '90 e i primi '2000 hanno infestato il panorama cinematografico del genere con lo stesso ritmo (e la stessa sgradevolezza) del proliferare di ricoveri per intossicazioni da alcol e malattie sessualmente trasmissibili ipotizzabili tra i giovinastri in essi rappresentati. Un distinguo necessario, in quanto le vicende di collegiali arrapati, adolescenti allo stato brado e giovani teste di cazzo miscellanee messi in scena con l'unico scopo di fornire carne da macello per lo psicotico di turno sono da sempre un caposaldo del cinema d'orrore, slasher in particolare (altra confessione, in linea di massima non amo gli slasher in generale), ma è solo con questo filone di fine millennio che esse possono effettivamente vantare la creazione di un sottogenere a sé facilmente codificabile, tra un'irritante blandezza di fondo (si sa mai che si rischi di sforare il VM14), un ventaglio di protagonisti scientificamente studiati per catalizzare la vostra voglia di tirare schiaffi, e un generale vuoto pneumatico a livello registico, stilistico e creativo.
E questo mi porta all'ultima confessione di giornata (prometto): paradossalmente avevo aspettative mica male riguardo a Obscure. Parliamone: un liceo americano è un setting che qualche potenziale inesplorato ce l'ha, aggiungiamo che nel 2004 il survival horror classico è un genere all'apice della propria maturità, con un bagaglio di ispirazioni e trucchi del mestiere ormai corposo, efficace e di pronta applicabilità.. Magari, ipotizziamo un pizzico di sana ambizione e -perché no?- un utilizzo intelligente e consapevole dei cliché propri del contesto, e riporre buonissime speranze in questa produzione francese non sembra più così utopico.

Oh mio Dio, hanno rapito Kenny!

Brutti bastardi che non siete altro. Il buon Kenneth Matthews, tra un tiro a canestro e l'altro, s'è trattenuto nella palestra scolastica fino a dopo il tramonto. Poco male, una doccia veloce e via all'appuntamento con Ashley, questo il programma della stella della pallacanestro di Leafmore High School, un'anima semplice dopotutto, a patto di scavare tra gli strati di testosterone e steroidi a buon mercato. Ma all'improvviso, un'imprevisto: qualcuno è scappato via portando con sé il borsone del nostro eroe. Kenny si butta all'inseguimento del ladruncolo, ma quello che pareva il più banale scherzo da prete, si rivelerà una terrificante trappola: col senno di poi, tutte quelle sparizioni di studenti non suonano più come una buffa coincidenza, nevvero?
Naturalmente, all'indomani la scomparsa di Kenny non passa inosservata per Ashley, la sorella Shannon e un paio di compagni di classe reclutati per l'occasione: i quattro non perdono tempo, trattenendosi nell'istituto oltre gli orari di lezione, convinti non a torto che la soluzione del mistero sia tutta nei meandri di Leafmore, ma ancora inconsapevoli di quali orrori dovranno affrontare pur di trarre in salvo l'amico/fratello/fidanzato e magari poter assistere ancora in vita al sorgere dell'alba di un nuovo giorno.

School's out... forever

Chi ben inizia è a metà dell'opera, dicono; e in quanto a questo, non c'è proprio nulla da obiettare ai ragazzi di Hydravision, che proprio nelle battute iniziali decidono di giocare le carte migliori, e di stupire con inaspettati tocchi di stile. Per dire, se il punk-pop dei Sum41 ad accompagnare il filmato introduttivo (almeno nell'edizione scatolata) può suggerire uno svolgimento e un tono generale prevedibile, le prime sessioni giocabili assumono di colpo tutt'altra atmosfera, con un magnifico quanto inatteso accompagnamento orchestrale coadiuvato da un suggestivo coro di voci bianche, il tutto mentre esploriamo aule e corridoi che l'ultima luce del crepuscolo rende spettrali e vagamente minacciosi. C'è tempo di farsi una discreta scampagnata, risolvere qualche enigma e capacitarci che attorno a noi c'è qualcosa di innaturale e maligno prima del momento catartico (ossia: i mostri esistono, sono proprio nella mia scuola e non hanno tutte ste belle intenzioni) e l'avvio a pieno regime del gameplay. Nel contempo, abbiamo modo di fiutare qualche idea fresca messa a punto dal team. Su tutte, la gestione dei personaggi giocabili: nei vari punti di ritrovo, possiamo scegliere tra tutti i bambocci presenti, portandoci con noi un compagno, controllato dall'IA fino a quando non decideremo di scambiare e assumerne il comando, o alternativamente, nelle mani e nel pad di un secondo giocatore (anticipando il trend del gioco in cooperativa tanto in voga oggigiorno, o giusto per testimoniare una gagliarda resistenza da parte di un orpello di ere passate qual'è il multiplayer in locale, fate voi). Oltre a questo, è possibile constatare come ciascuno dei protagonisti abbia a disposizione una caratteristica unica per facilitarci la vita: Kenny può sfruttare le proprie doti atletiche per compiere scatti impensabili ai compagni, l'incazzosa Ashley è particolarmente portata per l'autodifesa e se la cava meglio di tutti con le armi, l'aspirante reporter Josh mette in pratica l'interesse per l'investigazione con l'abilità di rilevare se nella stanza che stiamo esplorando ci sono ancora oggetti e indizi utili, Stan (pessimi voti, look da skater e attitudine da bad boy) è lo scassinatore più veloce della congrega, e la secchiona Shannon funge da Lisa Simpson della situazione, felice di ricordarci petulantemente quale dovrebbe essere il prossimo passo per avanzare nel gioco. Talenti più o meno utili, ma come avrete potuto intuire, ma in nessun caso veramente indispensabili... E questo ci porta al prossimo punto: in Obscure, TUTTI possono morire. E dico letteralmente: un decesso prematuro qui comporta semplicemente un amico da piangere in più e sotto al prossimo; è tranquillamente possibile portare avanti e terminare il gioco con un unico elemento sopravvissuto, magari la ragazza verginella e sfigata (sì, ce l'ho con te Shannon), e questo rende molto il tono da teen slasher. Se poi consideriamo la galleria di stereotipi nemmeno vagamente celati che costituisce il cast... che sia davvero l'utilizzo intelligente e consapevole dei cliché di cui parlavo poc'anzi? Davvero Obscure riesce nell'impresa di nobilitare un genere così radicalmente stronzo?

Sì, i teen horror fanno ancora schifo

Nah, questo round la stronzaggine di fondo ha la meglio. Per quanto Hydravision sembri suggerire a ogni dove una sostanziale comprensione del genere trattato, dei propri limiti e una certa volontà di superarli; esaurite le valide premesse, il team finisce invece per rendere la propria opera esattamente quello che non doveva essere: blanda e fondamentalmente innocua. Parlavo di atmosfera, di quell'oppressivo tramonto ad accompagnare i primi capitoli... Beh, calato quello, finito quasi completamente il pathos. Le ore notturne non riescono ad aggiungere nulla di che al carisma e al fattore-spaventi (che deve accontentarsi di vivacchiare di qualche scarejump telefonato e men che memorabile), non il massimo per un prodotto che già a partire dal titolo vorrebbe porre particolare enfasi sul dualismo luce-tenebra. Per il resto, ci attestiamo sull'ABC del survival horror, con una struttura generale sufficiente e nulla più, livelli ispirati il minimo indispensabile, nemici sostanzialmente mediocri, e una sceneggiatura non abbastanza forte da sopperire, nascondere o nobilitare l'impalcatura di luoghi comuni su cui si regge (e che in qualche modo si prefiggeva di omaggiare ed elaborare costruttivamente, ne sono sempre convinto). Insomma, poco più che un semplice teen horror in forma digitale, che a dirla tutta riesce comunque a rendersi giocabile e adeguatamente divertente da essere tranquillamente giocato fino in fondo senza sfociare nella pura inerzia (o peggio, noia), ma che al contempo non può che lasciare l'amaro in bocca per come non sia stato sviluppato all'altezza delle potenzialità messe in mostra. In pratica, l'alunno Hydravision è intelligente, ma potrebbe applicarsi di più.



Voto: 6,5/10

Pesce al vapore

Membri della Glorious PC Gaming Master Race, gioite!
http://store.steampowered.com/curator/6856904-Il-Pesce-Zombie/
Ora potrete seguire il vostro settantunesimo blog preferito (calcolo approssimativo e ottimista) anche su Steam. Iscrivetevi al gruppo, diventate fan del curatore, parlatene al vostro prossimo fino a diventare molesti fino ad essere socialmente emarginati. Non vorrete mica dire di no a un faccino come il mio (o a quello leggermente meno imbarazzante dell'eponimo pesce zombie, se preferite), vero? vero? VERO???

domenica 21 settembre 2014

Recensione videogioco: Dead Rising 2: Off the Record






Titolo: Dead Rising 2: Off the Record
Anno: 2011
Sviluppatore: Blue Castle Games
Distributore: Capcom
Piattaforme: PC, Xbox 360, PS3
Piattaforma testata: PS3


Quartier generale di Blue Castle games/Capcom Vancouver, 2011

"Buongiorno. Dead Rising 2 è sul mercato ormai da mesi. Immagino abbiate intuito il perché ho indetto questa riunione."
"Non si preoccupi signor Capcom, ci stiamo lavorando duramente... ancora poco e riusciremo a rendere la versione PC un pò meno merdosa"
"Eh?... Non avete capito proprio niente, quello che intendevo è che serve una riedizione."
"una che?"
"oh, Gesù... si vede proprio che siete gli ultimi arrivati. Ora vi spiego come funziona da queste parti... avete fatto un gioco di successo? Ora, è vostro preciso dovere riproporlo con qualche variante, a 
prezzo intero o quasi. Ora, qualcuno ha qualche idea in merito?"
"Mmm... Non saprei signor Capcom, non so se questa sia una buona idea. Voglio dire, è un titolo appena uscito e..."
"Ascoltami giovanotto, sarò schietto. Quando vi ho messo sotto contrato mi aspettavo che aveste le idee abbastanza chiare. Normalmente, a questo punto di una riunione ho già spunti per 27 nuove versioni di Street Fighter 2, quindi sappiate che siete indietro rispetto alla tabella di marcia. Dunque, mi aspetto qualche proposta."
"Eh insomma, mica è così facile..."
"Diosanto, come se ci volesse tanto. Cosa ne dite di un remake HD? Con Resident Evil facciamo conto di fregare un sacco di gente."
"Con tutto il rispetto, dead Rising 2 è già in HD"
"Uh, giusto. Allora, una ULTIMATE HD. Sempre con Resident Evil, facciamo conto di fregare un sacco di..."
"Ehmm... Quella la annuncerete tra un tre anni circa"
"Ora però non fare il saputello, ragazzo. E comunque, non ho ancora sentito proposte."
"Non so signor Capcom... Dead Rising 2 è una megafigata del Cristo. Come facciamo a migliorarlo?"
"Nuovi nemici magari? Gli zombie sono così anni 2000. Potremmo metterci dei generici terroristi mediorientali, O russi. O..."
"Che ne dite di inserti stealth? I giocatori amano quella roba, che abbia senso o meno"
"Un porting PC decente?"
"Dì ancora una cosa del genere e puoi considerarti licenziato."
"E se... rispolverassimo Frank West?"
"Perché non... Oh cazzo, bell'idea"
"Come ho fatto a non pensarci prima?"
"Alla buuon'ora, qualcosa di costruttivo. West piace al pubblico, lo stiamo già inserendo a cazzo di cane un pò ovunque"
"In effetti... Se quelle fighette sessualmente represse di Konami l'han fatto col Pyramid Head, chi siamo noi per essere da meno?"
"Ecco lo sprito che voglio sentire. Finalmente abbiamo un punto di partenza. West a Fortune City, può funzionare. Basta metterci commenti sarcastici a ogni dove, qualche mossa di wrestling e magari una nuova area dove Frank può fare un sacco di stronzate divertenti... Qualcosa che abbia un nome scemo, che magari suoni come 'la zona del tuo ano'... solo, non così banale"
"Mi piace... Ho già in mente un paio di nuovi boss"
"Wow le modifiche alla trama praticamente si scrivono da sé"
"Possiamo reinserire le foto nel gameplay. E ora che ci penso, potremmo integrare tante di quelle novità da giustificare una riedizione dai 40 euro in su..."
"Ora, non allargarti troppo. Comunque è deciso, Dead Rising 2 con Frank West, fotografie, cose sceme, dai 40 euro in su. Mi aspetto il prodotto finito entro sei mesi. Se non altro non è statauna perdita di tem..."
"Signor Capcom?"
"Sì?"
"A sto giro, la versione PC possiamo farla non merdosa?"
"Sei licenziato."


E così nacque Dead Rising 2: Off The Record.







Voto: 9/10

mercoledì 3 settembre 2014

Recensione videogioco: Dead Rising 2






Titolo: Dead Rising 2
Anno: 2010
Sviluppatore: Blue Castle Games
Distributore: Capcom
Piattaforme: PC, Xbox 360, PS3
Piattaforma testata: Xbox 360


Willamette è stato solo l'inizio. Sono trascorsi quattro anni dall'"incidente" che gli sforzi di Frank West hanno portato all'attenzione nazionale e mondiale, ma la prima epidemia di zombie su suolo americano non è rimasta un episodio isolato, con conseguenze tragiche quanto clamorose (tra cui, Las Vegas praticamente spazzata via dalle carte geografiche). Ovviamente, ci vuole ben altro che un problemuccio del genere per inceppare per inceppare il fiero spirito capitalista e il senso del business dello zio Sam: a tempo di record, il complesso di Fortune City è emerso come il nuovo punto di riferimento per chiunque voglia dirottare i propri quattrini in una sbornia di intrattenimento, gioco d'azzardo e malattie veneree. Resta uno sgradevole surplus di stupidi non morti da smaltire? Ecco nascere format come il popolarissimo Terror is Reality, dove i coraggiosi concorrenti dovranno sfidarsi in una serie di pirotecniche prove a base di mortacci obliterati nei modi più violenti e spassosi possibili, tutto per la gioia del pubblico pagante. Ma che dire degli sfortunati cittadini infettati, le cui stime si aggirano su diversi milioni? Niente paura, non verranno abbandonati al loro destino. Naturalmente a patto di potersi permettere la dose quotidiana di Zombrex, un prodigioso (quanto costoso) farmaco in grado di inibire il processo di zombificazione per 24 ore.
Chuck Greene ha avuto la sventura di essersi ritrovato esattamente nel mezzo di tutto questo casino: sopravvissuto a Las Vegas, dove ha visto la moglie morire e la figlioletta Katey beccarsi un poco salubre morso infetto, l'ex campione di motocross e novello  genitore single ha vissuto tempi durissimi, dilapidando i propri risparmi per assicurare a Katey la preziosissima medicina, e proprio per questo bisogno, si troverà a partecipare -con lo stesso entusiasmo che ci si potrebbe aspettare nel prepararsi a un'accurata visita proctologica- all'ultimo evento di Terror is Reality, proprio nell'arena di Fortune City.
Ma il destino ha in serbo una bruttissima sorpresa: un'esplosione presso le barriere di sicurezza, e in men che non si dica, il resort è sommerso da schiere a perdita d'occhio di non morti, liberi di vagare e farsi un week end di baldoria e cibo fresco. Per il buon Chuck (che, non c'è più dubbio, porta più sfiga di un camion di gatti neri) è l'incubo peggiore che torna a materializzarsi: e come se non bastasse l'essere intrappolato in attesa dei soccorsi e a corto di Zombrex, il nostro riluttante eroe scopre oltretutto di essere stato falsamente accusato come responsabile dell'accaduto. Insomma: sopravvivere in un ambiente un tantinello insidioso, occuparsi della salvaguardia della propria bambina anche a costo di rovistare fino all'ultimo angolo di Fortune City, salvare quante più persone possibili, e magari, nel libero libero, fare qualcosina per dimostrare al mondo di non essere un sanguinario terrorista. Spero proprio che tu non abbia preso impegni per i prossimi tre giorni, Chuckie.

Formula che vince non si cambia, è questa la filosofia di fondo che ha animato i ragazzi di Blue Castle Games nello sviluppare Dead Rising 2. E di vincente, di unico e di immensamente appagante, al primo capitolo del survival-sandbox targato Capcom non mancano di certo solidissime fondamenta da cui ripartire. Questo sequel parte precisamente con l'intento di rispettare con rigore religioso queste premesse:

La modalità principale ripartita su 72 ore? Rieccola.
Le frenetiche lotte contro le lancette dell'orologio per portare a termine qualunque compito? Potete giurarci, e ora muovete quelle chiappe, su.
I fantatrilioni di zombie ovunque vi troviate, e l'altrettanto variegato ventaglio di soluzioni che potrete adottare? Come prima, più di prima.
Le continue missioni di scorta? Ovviamente.
I boss schifosamente impegnativi? Sì, diosanto, sì...
Il grado di sfida spietato, le playthrough multiple praticamente obbligate, le bestemmie? Preparatevi a guadagnarveli per bene, i finali migliori.
L'irriverenza di fondo, i toni orgogliosamente esagerati, il divertimento insano? FUCK YEAH!!

Già riuscire a riproporre con la stessa efficacia gli elementi che hanno reso grande l'originale Dead Rising senza scadere nella banale copia carbone è un traguardo di tutto rispetto, e non si può dire che gli accorgimenti messi appositamente in atto non abbiano fatto centro.

Ad esempio, la novità più significativa sul fronte gameplay è l'introduzione delle armi combo, e fidatevi, è una new entry che si fa sentire. Chuck, a differenza del caro vecchio Frank, non ha alcun interesse nel portarsi a presso una fotocamera con cui andare a caccia di scatti unici e remunerativi; ma in compenso è un valido meccanico, un talento naturale nel fai da te, nonché possessore di un'immaginazione molto ma molto malata. Il primo accesso a un banco da lavoro, la scoperta di una mazza da baseball e una scatola di chiodi: il passo da quel rudimentale quanto efficace bastone ferrato che che vi troverete tra le mani fino all'ideazione e all'assemblaggio degli strumenti di morte più improbabili, eccessivi e gratuitamente fighi che qualunque cacciatore di zombie abbia mai avuto il coraggio di concepire. Vi piace l'idea di una pagaia con due motoseghe alle estremità? O forse vi aggrada maggiormente l'idea di un forcone potenziato dal motore di un trapano industriale? Ancora banali per i vostri gusti? Allora c'è sempre un elmetto con una lama di falciatrice installata in cima, o una sedia a rotelle elettrica tappezzata di fucili d'assalto e programmata per lanciare insulti con una voce robotica alla Stephen Hawking (no, non me lo sto inventando.).... E questo, solo per rendere l'idea. La varietà di armi convenzionali e improprie a disposizione e tutti i margini di improvvisazione da combattimento era già fantastica nel primo capitolo; la trionfale orgia di nastro adesivo e ingegneria Macgyveristica degenerata che risponde al titolo di Dead Rising 2 va ben oltre, spingendo questo fattore all'estremo e al di là di ogni logica. Il solo scoprire, costruire e testare sul campo il maggior numero possibile di queste diavolerie, è qualcosa che vale il prezzo del biglietto. Questo. anche facendo finta che il gioco non vi incentivi attivamente a eseguire uccisioni fuori dagli schemi, riservando i bonus d'esperienza più succosi alle kill ottenute mediante i supporti meno ortodossi.

Un'altra novità è l'ingresso in scena del vil danaro. Dopotutto, siete in un luogo disseminato di casino e abitualmente frequentato da gente che in quanto a pecunia non se la passa malissimo. Vien da sé che un portafogli gonfio si rivelerà un vantaggio, o una risorsa strategica: Non trovate Zombrex? Poco male, quei simpatici saccheggiatori ne hanno in vendita, assieme a oggetti pregiati, outfit esclusivi e addirittura veicoli con cui rendere più veloci e sicuri i nostri continui spostamenti. Quel cocciuto sopravvissuto si rifiuta di unirsi a noi? Una mazzetta può fare miracoli. Niente cibo nei dintorni? Quel distributore di snack può fare al caso nos... un momento, 100 dollari per una sacchetto di patatine? Mi state prendendo per il culo?

Poi, non è una nuova feature vera e propria, ma, per quel che sono gli effetti, poco ci manca: l'intelligenza artificiale delle persone che potremo aiutare e portare al sicuro. La cosa più frustrante del prequel era senza ombra di dubbio il portare a termine le scorte, grazie a un'IA raccapricciante per cui il percorso fino al rifugio era puntualmente una sofferenza indicibile. Ora, i passi avanti in merito lasciano addirittura increduli: non solo non dovremo più fare la parte di Tata Lucia con degli emeriti decerebrati capaci di buttarsi in bocca all'unico zombie nel raggio di chilometri, ma ci troviamo alleati reattivi, collaborativi e ragionevolmente in grado di badare a sé stessi. Affidategli un armamento adeguato, e i sopravvissuti possono addirittura rivelarsi un aiuto concreto nel combattere gli psicopatici.

Giust'a proposito, se il livello di difficoltà generale si può dire (relativamente) ammorbidito, affrontare i boss resta sinonimo di tanto, tantissimo dolore. I nuovi psicotici colpiscono duro più che mai, possono assorbire una quantità notevole di danni, e la strategia da adottare contro di loro non è sempre così scontata. Essere colti alla sprovvista è ancora più facile che prima, e presentarsi a questi appuntamenti senza un personaggio adeguatamente potenziato, lascia possibilità di successo pressoché nulle.

Già, per quanto si noti lo sforzo di rendere l'esperienza di gioco la più equilibrata possibile, farvi qualche partita di "warm up" e mettere assieme qualche livello prima di fare sul serio, resta un requisito ampiamente consigliabile per poter ambire ad arrivare fino in fondo, e senza essersi lasciati per strada troppe missioni secondarie. In generale, forse la sfida offerta dal gioco originale era globalmente più impietosa e gratificante, ma sarebbe quantomeno ingeneroso dire che questo secondo episodio si permetta di fare troppi sconti al giocatore.

Insomma, ben più di uno scialbo more of the same, anzi, posso tranquillamente parlare di un bis ottimamente piazzato, con cui Dead Rising si conferma ufficialmente come un brand di tutto pregio, e una scheggia di sana follia che ha saputo incunearsi nel mezzo di un panorama dove la creatività non è sempre qualcosa di scontato. Solo, ora chi mi toglie dalla testa le strane e pericolose idee che mi automaticamente balzano in testa ogni volta che vedo due oggetti a caso sulla scrivania?


Voto: 9/10

martedì 2 settembre 2014

140 caratteri rubati alla piscicoltura necrofora.

Schiavi dei social network come tutti i patetici viventi? Gioite, dacché potete seguire il vostro blog di mediocri recensioni horror preferito anche su Twitter. Cercate @pescezombie e non esitate a raccomandarlo a parenti, amici, amici di amici, conoscenti, idraulici dell'istruttore di pilates della sorella del cognato del cugino di secondo grado del fratello del vostro inquilino, o semplici passanti di manifesto cattivo gusto.
Ve ne pentirete, ma con stile.

Recensione videogioco: Dead Rising







Titolo: Dead Rising
Anno: 2006
Sviluppatore: Capcom
Distributore: Capcom
Piattaforme: Xbox 360



"Questo gioco non è sviluppato, approvato o su licenza da parte dei proprietari o dei creatori de 'L'alba dei Morti Viventi' di George A. Romero".

Se già dalla copertina, un videogame si presenta con un diniego tanto gratuito quanto sospettosamente specifico, semplicemente non può non avere la tua attenzione. E non solo perché l'unico precedente nei tie-in ufficiali dei film del Maestro della fiction zombesca (Land of the Dead - Road to Fiddler's Green, per la cronaca) era una mezza cacata di cui dimenticarsi alla svelta. Beh, qui semplicemente abbiamo un'apocalisse zombie fresca fresca e un centro commerciale. Aggiungete una struttura sandbox e il bollino Capcom sotto la voce sviluppatori, e già dovrebbe essere ragionevole supporre che nulla a questo punto può andare storto. Ora, sommate a tutto ciò un approccio gioiosamente sopra le righe, un protagonista da annali di burinaggine e un achievement che vi sfida a fare secchi in un'unica partita 53.594 non morti, e forse potrete finalmente capire come a lungo ho bramato una Xbox360 quasi unicamente per poter mettere le mani su questo titolo.
E sì, specifichiamolo fin da subito, le mie aspettative non sono state minimamente deluse, Dead Rising è ESATTAMENTE quella megafigata del Cristo che annuncia urlando a squarciagola nel proprio stropicciato e sanguinolento biglietto da visita. Detto questo, potrei anche chiudere direttamente qui quella che sarebbe la più breve e facile delle recensioni ospitate da questo squallido blog, per la gioia di chi, tra i miei 4-5 affezionati lettori non abbia tutto sto tempo o voglia di sorbirsi un pistolotto inutilmente prolisso pur di leggere un parere su un horror di cui non frega un cazzo a nessuno o (come in questo caso) o di cui avrà già avuto accesso a un qualche migliaio di articoli e opinioni. Ma appunto, sono inutilmente prolisso (nonché vagamente offeso, so che avete annuito durante tutto l'ultimo paragrafo), quindi mi sforzerò di esporre qualche argomentazione in più: 

- Dead Rising è vergognosamente divertente: Prendete uno come Frank West, fotografo di guerra, reporter d'assalto, wrestler dilettante e badass a tempo pieno; mettetelo di fronte allo scoop di una vita e frapponete tra i due elementi un esteso tempio dello shopping popolato in ogni centimetro quadrato da migliaia di zombie, diversi sopravvissuti da portare in salvo e qualche occasionale psicopatico a piede libero, il risultato è purissima goduria ludica. La priorità assoluta è sopravvivere, e dovrete farlo sfruttando i mezzi che l'ambiente circostante vi metterà a disposizione. Vale a dire: qualunque cosa può essere raccolta e improvvisata come strumento di difesa e offesa. Se un coltello da caccia, una mazza da baseball o uno shotgun possono sembrarvi banali e scontati, basta guardarvi attorno: Un cestino del pattume? Una panchina? Un tosaerba? Un manichino da negozio di abbigliamento? Un televisore? Tutto fa brodo nelle mani del pragmatico Frank. Se può sfondare un cranio non-morto, è da considerarsi un'arma. Se non può... potete comunque raccoglierlo, usarlo, e magari scoprirne pure una qualche utilità. L'interattività con ciò che vi circonda è impressionante, e considerata la varietà di materia prima messa a disposizione dai più di 80 negozi presenti nel Willamette Parkview Mall, c'è ben poco da annoiarsi. E non che si corra il rischio di rimanere a corto di bersagli su cui sfogare cotanta creatività; per quanto possiate impegnarvi per decimare le orde di salme deambulanti & affamate, sarete sempre in soverchiante inferiorità numerica, rendendo il combattimento un'utile via per incrementare la conta di uccisioni o per aprirsi la strada o crearsi una via di fuga, ma non certo un vantaggio a lungo termine, contro un'infestazione che procede a ritmi ben più alti rispetto alle vostre potenzialità distruttive. Abituatevi ad avere una strategia, nel caso vogliate salvare la pelle.


- Dead Rising è un sandbox atipico: Vi ho parlato dei margini d'azione pressoché sconfinati e della totale libertà di esplorazione. Bene, ora pensate a qualunque videogioco si basi su questi ingredienti, focalizzatevi su tutte le strategie e i trucchi del mestiere accumulati a riguardo... e dimenticateli. Dead Rising non è un GTA qualsiasi, o piuttosto, Dead Rising è infinitamente più malvagio di un GTA qualsiasi. L'orologio da polso di Frank è ben più di un semplice gadget alla moda: da queste parti non esiste missione (principale o opzionale che sia) che non risponda a rigidi limiti di tempo. D'altronde, le premesse sono chiare: il nostro cronista ha concordato 72 ore per documentare il terrificante incidente di Willamette prima che l'elicottero da cui è arrivato torni a prelevarlo e portarlo al sicuro, in quei tre giorni saranno tante le verità da scoprire, e nel mentre, non mancheranno occasioni di trovare sopravvissuti e accompagnarli verso la salvezza rappresentata da qualche rifugio di fortuna, oppure eliminare minacce ben più pericolose degli zombie stessi. Completare tutti gli obiettivi (o realisticamente, più obiettivi possibili) richiederà necessariamente una rigida disciplina e una severa gestione delle pochissimo tempo concesso di volta in volta. Poi, volete bighellonare, uccidere e saccheggiare senza un perché ed esentati da responsabilità alcuna? Liberi di farlo, ma così vedrete sfumare la possibilità di fare luce sulle cause dell'incubo che state vivendo, condannerete a morte sicura (o peggio) un sacco di innocenti... e quel che è peggio, perderete innumerevoli opportunità di accumulare esperienza e rinforzarvi... e questo ci porta al prossimo punto.


- Dead Rising è un gioco hardcore: Una cosa dovrebbe oramai essere chiara: questo non è affatto il gioco più accomodante con cui vi capiterà di avere a che fare. Può essere che c'entri che sia nato soltanto agli albori della settima generazione di console (ossia, il picco più alto dell'user friendly mai registrato nella storia del gaming), ma poco importa; tutti i progressi che compirete ve li dovrete sudare, e in ogni caso, essi passeranno attraverso una coltre di sangue, sudore e rosari di bestemmie. Gli elementi GdR saldamente integrati nel gameplay non sono altro che una scusa per farvi ricominciare da zero più e più volte, dopo svariati e atroci decessi: Dead Rising è pensato in modo nemmeno tanto velato per essere gustato ed eventualmente portato a termine su più giocate, che difatti ripartiranno di volta in volta conservando il vostro livello e tutti i vantaggi che ne conseguono (dicasi: abilità e mosse speciali, aumenti nella barra di energia, potenza di attacco, slot dell'inventario, velocità di movimento ecc... oltre a specifici bonus sbloccati portando a termine specifici compiti). Avventurarsi più a fondo del dovuto durante la vostra prima escursione, con ogni probabilità si risolverà in maniera tutt'altro che onorevole e indolore alla prima situazione davvero intricata. Per dire, non illudano le masse di nemici standard, pericolose, ma nel più dei casi, aggirabili con (relativa) facilità; i boss (rappresentati da persone vive andate completamente fuori di testa), nonostante siano prevalentemente facoltativi, sono senza eccezioni una spina nel fondoschiena pressoché insormontabile per qualunque giocatore sprovveduto o non ancora abbastanza attrezzato. E pure una meccanica di routine, quale salvare i sopravvissuti trovati qua e là nel centro commerciale, è un'impresa nient'affatto scontata, complice anche un'intelligenza artificiale da linciaggio (unico vero difetto del gioco, fortunatamente corretto già a partire dal sequel) che vi complicherà il più possibile la vita in barba a qualunque spirito umanitario (o sete di punti esperienza, di cui le scorte sono largamente la fonte più copiosa). Aggiungiamo (o meglio, ribadiamo) che tutto in Dead Rising sia una continua e spietata lotta contro il tempo, e il quadro che ne esce lascia ben poco spazio all'interpretazione: siamo di fronte a un'opera che richiede imprescindibilmente pazienza, impegno e resistenza alla frustrazione, cosa in nettissima controtendenza rispetto agli standard del gaming odierno, per cui spesso arrivare a una schermata di game over o a un punto morto richiede quasi più dedizione rispetto al godersi i titoli di coda. Solo per questo il più recente brand zombesco di Capcom merita con tutto il merito del mondo di ritagliarsi un proprio specifico spazio all'interno di un panorama mainstream sempre più standardizzato. Poi beh, scusate se insisto, ma...


- Dead Rising è una megafigata del Cristo: Allora, ho appena ucciso con grande fatica un clown impazzito armato di due motoseghe grazie a un tubo di piombo racimolato nell'angolo di un magazzino e un paio di cartoni di latte, nel cercare altro cibo per curarmi mi imbatto in un paio di turisti asiatici, con cui riesco a comunicare e reclutare solo grazie a un dizionario di giapponese trovato nei dintorni; da lì a poco il tubo mi si spezza nello spaccare la testa a un ciccione frollato con tanto di carrello della spesa (vi ho già detto che TUTTI gli oggetti hanno una durata limitata?) e resto disarmato, e nel frattempo scopro che Shinji sta tirando le cuoia, inutili i tentativi di tirarlo fuori dal pic-nic che un centinaio di non morti hanno organizzato a sue spese. Pazienza, Yuu sta ancora benino. Attraverso il parco evitando le smitragliate dei tre evasi che scorrazzano nella loro jeep militare rubata, e ritorno nel distretto più vicino al rifugio, per scoprire che un culto a base di sacrifici umani ha preso possesso del multisala e dintorni. Riesco a raccogliere una palla da bowling con cui fracasso qualche scatola cranica e guadagno una manciata di metri, scatto un paio di foto, sperando di guadagnare abbastanza punti da sbloccare un nuovo livello, e riparto alla disperata, dribblando tanto gli zombie quanto i cultisti armati di coltelli ed esplosivi. Vorrei solo arrivare alla zona sicura, per poi dirigermi a North Plaza, dove pare ci sia un negozio di armi da fuoco ancora discretamente rifornito... non fosse che entro mezz'ora mi inizia una missione principale, e mi stanno chiamando via radio perché un superstite è appena stato avvistato esattamente dall'altra parte della mappa, ma sono troppo impegnato a farmi strada tra questi fottutissimi zom..."EHI, E' MALEDUCAZIONE RIATTACCARE!"


Sul serio, come può essere concepibile non amare questo gioco?


Voto: 9/10

martedì 1 luglio 2014

Recensione videogioco: Among the Sleep





Titolo: Among the Sleep
Anno: 2014
Sviluppatore: Krillbite Studio
Distributore: Steam
Piattaforme: PC, PS4
Piattaforma testata: PC


Horror e bambini, un connubio che vanta miriadi di esempi e di rielaborazioni, tra pargoli inquietanti e anticristi in erba assortiti, giovani spiriti rancorosi, mocciosi in possesso di poteri dalle implicazioni meno che gradevoli, fino ai normali fanciulli a loro malgrado capitati in situazioni non propriamente kid friendly. Stesso discorso per le paure prettamente infantili, sviscerate e riproposte in numerose varianti. Considerate la premesse fa strano come Among the Sleep riesca a rappresentare qualcosa di originale e inedito, eppure anche sforzandomi non riesco a trovare -almeno in campo videoludico- precedenti che si siano spinti fino in fondo come ha fatto Krillbite Studio, ossia farci vivere l'incubo di un bambino direttamente attraverso gli occhi del piccolo diretto interessato.
Fa strano, ma forse solo fino a un certo punto, se pensiamo ai protagonisti di survival horror a cui siamo abituati: nel migliore dei casi corpi speciali iperaddestrati e armati fino ai denti, poliziotti e ingegneri spaziali seguaci del Mcgyveresimo; nel peggiore scribacchini, detective e poveri cristi qualunque, magari incapaci di brandire un'arma e inclini ad accumulare nella propria biancheria intima abbastanza sfumature di marrone da far concorrenza a Quake (che finezze che vi tiro fuori, neh?), ma da cui comunque ci si può aspettare quel minimo di prontezza e risorse per poter salvare la pellaccia anche nelle circostanze più critiche. Ecco, ora provate ad estremizzare questa logica applicandola nei riguardi di un soldo di cacio con tanto di pigiama a stelline, a malapena in grado di camminare e per il quale raggiungere la maniglia di una semplice porta diventa un'impresa tutt'altro che banale. Parlare di "margini d'azione limitati" in questo caso è praticamente spalancare le nuove frontiere dell'eufemismo.
Per fortuna i ragazzi di Krillbite dimostrano di avere le idee chiarissime in merito, sapendo che con in mano un concept e un protagonista così peculiari, l'unica strada possibile è quella di campare completamente di queste premesse e di svilupparle fino al minimo dettaglio. Tanto per cominciare, facendoci immedesimare in qualcosa di smarrito e indifeso come solo un bimbo che non trova la sua mamma può essere. E' proprio così che inizierà questo brutto sogno: letteralmente sdradicati dal nostro lettino, siamo soli, in una casa che in questa notte di tempesta non è più il nostro mondo, ma un luogo alieno e minaccioso. Fortunatamente Teddy non è lontano, è un buon orsacchiotto e un ottimo amico, sempre pronto a dispensarci consigli e confortevoli abbracci. Ma attorno a noi continuano a succedere cose che non dovrebbero, siamo circondati da suoni sinistri, e quel che è peggio, mamma non c'è e non si trova da nessuna parte, per quanto la cerchiamo disperati. Ora anche Teddy ha paura, ma non abbiamo scelta se non farci coraggio e proseguire, alla ricerca di indizi su come rimettere tutte le cose a posto e riprendere la nostra vita di giochi spensierati, pomeriggi alle giostre... e baci della buona notte a propiziare sogni felici.
Di sicuro, quello in cui Among the Sleep non difetta, è la suggestività: vivere il punto di vista di un duenne spaventato è un'esperienza originale ed emotivamente coinvolgente, vuoi la vivida immaginazione tutta infantile che si tenta di ricreare, vuoi la reazione che ciò tende a suscitare da parte di un osservatore adulto, divisa tra la tenerezza per la beata ingenuità, e la consapevolezza che quelle che passano sul nostro schermo sono le paure che tutti noi abbiamo vissuto. Perché sì, se i termini di paragone sono i vari Outlast, Siren, Fatal Frame e compagnia bella, qui di spaventi ce ne sono pochi e pure banalotti, tra rumori a cazzo di cane di provenienza ignota, ombre strane, porte che si chiudono e corridoi bui... Ma mettendoci sulla lunghezza d'onda giusta, non è difficile immedesimarci nell'esperienza, tornando per poche orette a quando la nostra casa nell'oscurità della notte era il luogo più terrificante di tutto il mondo ed era difficile addormentarci all'idea di tutti i mostri in agguato sotto al letto o nascosti nell'armadio.
Come detto, le capacità del nostro personaggio principale (o meglio, la scarsità di esse), costituiscono una parte integrante di quanto Krillbite ha accuratamente confezionato; se il saper camminare rappresenta per noi una conquista più o meno consolidata, correre equivale a chiedere troppo alle nostre gambette corte e alla coordinazione incerta, col risultato che uno scatto prolungato più di qualche secondo finirà puntualmente con un capitombolo ben poco "survival", e ben presto, qualora servisse un certo sprint, finiremo per abbandonare queste cose "da grandi" in favore del caro e collaudato gattonare.
Quello che difetta nell'agilità, il nostro eroe tascabile, lo compensa con lo spirito avventuroso e un'innata curiosità... ossia, la capacità di mettere le manine paffute su qualunque cosa capiti sotto tiro, cosa quantomeno provvidenziale quando ci si deve muovere in un mondo progettato per individui di taglia ben differente. Una discreta fetta del gameplay di Among the Sleep sfrutta infatti le possibilità d'interazione con l'ambiente, che sia semplicemente spostare uno sgabello in modo di poter raggiungere la maniglia di una porta fino ai semplici puzzle basati sulla fisica di tanto in tanto; giusto per staccare da una formula basata su un mix tra caccia al tesoro e nascondino (giusto per rimanere su tematiche infantili), rispettivamente per cercare gli oggetti necessari al proseguimento della storia, e per sottrarci alle presenze malevoli che popolano questo incubo. Giusto per chiarire: malgrado la tenera età del nostro alter ego e tutto quanto, possono sempre succederci cose brutte, e naturalmente, non abbiamo a disposizione alcuna difesa, se non nasconderci e sgattaiolare lontani dal pericolo, sperando che il pannolino si riveli all'altezza del delicato compito affidatogli.
Beh, fino a questo punto, posso immaginare che vi siate fatti l'idea di una sorta di Amnesia a misura di asilo nido, con parchi giochi in luogo di tenebrosi castelli europei, e inventari che ospitano giocattoli al posto di teste mozzate; insomma un gimmick curioso ma tutto sommato innocuo e fine a sé stesso. Signori miei, niente di più inesatto: è nella trama che risiede il vero cuore di Among the Sleep, e nel man mano che vi farete strada verso la conclusione, sarà sempre più chiaro che ogni elemento e ogni dettaglio non è altro che un vettore finalizzato a raccontare -o meglio- farci vivere in prima persona una storia. E per inciso, tutta l'impalcatura regge bene e si dimostra infine ottimamente studiata, riuscendo a toccare tutti i tasti giusti per catturare l'interesse del giocatore. Ricordate quando ho menzionato il "coinvolgimento emotivo"? Beh, in un paio d'ore capirete cosa intendo.
E sì, avete capito bene: un paio d'ore. Inutile tentare di addolcire la pillola, Among the Sleep è completabile in un lasso di tempo sufficiente per guardare una partita di calcio, lasciandovi pure minuti di scarto a sufficienza per una sigaretta o due e un giro tra social network a lamentarsi delle scelte di Prandelli... Poca roba davvero (ok, anche le scelte di Prandelli, ma qui rischiamo di andare fuori tema), specie se il cartellino del prezzo recita un non troppo clemente 20 Euro, cifra che il mercato -oltre che al semplice buonsenso- tenderebbe ad associare a prodotti contenutisticamente meno striminziti. Poi d'accordo, parliamo di un prodotto indipendente senza un grande budget alle spalle, di un'opera che a conti fatti, se fosse durata anche solo un minuto in più, avrebbe rischiato di risultare meno compiuta ed efficace, possiamo anche addentrarci nello spinoso discorso dei videogiochi come arte/forme d'espressione e non semplici prodotti e la relativa impossibilità di quantificare pecuniariamente l'unicità di un'esperienza offerta secondo parametri standardizzati, oppure... Beh, poche palle, un prezzo del genere è semplicemente esagerato, ed è un vero peccato non poter consigliare a scatola chiusa Among the Sleep proprio ed esclusivamente per questo motivo. Fermo restando che, al primo sconto degno di questo nome, non esisteranno più scuse per non tornare bambini e addentrarci nel buio armati di orsetto di pezza.
Fino ad allora... Sogni d'oro.


Voto: 7/10

venerdì 4 aprile 2014

Recensione videogioco: Betrayer






Titolo: Betrayer
Anno: 2014
Sviluppatore: Blackpowder Games
Distributore: Steam
Piattaforme: PC

Che ci crediate oppure no, c'è stato un tempo lontano in cui gli attuali Stati Uniti d'America erano una terra indecifrabile e violenta ove guerra, ingiustizie, soprusi e bigottismo erano all'ordine del giorno. E' questo l'originale scenario in cui ci fa naufragare Betrayer, il Nuovo Mondo di Inizio '600, gli albori dell'età coloniale in un continente ancora selvaggio e incontaminato, non fosse per i gli ultimi arrivati e tutto il bagaglio di corruzione, menzogne e meschinità varie che non hanno esitato a portare con sé dal cosiddetto mondo civilizzato. Dove c'era una giovane e speranzosa comunità, ad attenderci sono rimaste unicamente rovine senza vita, come risucchiate dal tempo. C'è qualcosa di profondamente sbagliato, lo sentiamo nella stessa aria che respiriamo, ma non c'è niente o nessuno che possa aiutarci a capire. Man mano che senso di tragedia si fa sempre più palpabile e insostenibile, scorgiamo qualcuno in lontananza, ci avviciniamo bramosi di risposte o solo di contatto umano, ma le speranze dureranno solo il poco tempo per scoprire come attorno a noi nulla è come dovrebbe essere, l'unica logica possibile è dettata dalla disperazione e la sola compagnia alla quale possiamo ambire è composta da vuoti simulacri animati dal più puro odio. Siamo senza via d'uscita da questo incubo, la nostra stessa vita (e forse, anche la nostra anima) è in pericolo. Strisciamo in cerca di un rifugio e un istante di tregua, quand'ecco, una campana. Un oggetto insignificante abbandonato nella polvere, che invece si rivelerà una porta tra il regno dei vivi e il limbo in cui sono intrappolate le anime inquiete di chi visse in prima persona la discesa all'inferno di questo luogo maledetto. Ed è qui che inizieremo a percorrere a ritroso questa tortuosa spirale di sangue dolore in cerca di una verità incancrenita tra le pieghe più oscure della natura dell'uomo. Wow, roba allegra.
Probabilmente il nome Blackpowder Games risulterà sconosciuto ai più; ma ciò non tragga d'inganno, al pari del relativo silenzio delle fanfare dell'hype nel corso di sviluppo e uscita di Betrayer: dietro al debutto di questo marchio indipendente si celano autentici veterani dell'industria e nel genere horror, precisamente ex membri di Monolith Productions con all'attivo titoli quali F.E.A.R., Blood, Aliens Vs Predator 2 e No One Lives Forever. I valori produttivi da cui (ri)parte il team americano non saranno da blockbuster, ma di contro, è evidente come già dalle sue fondamenta, dietro a quest'opera vi siano esperienza, mestiere e una visione precisa quanto focalizzata. Impossibile iniziare qualunque discorso tecnico o critico su Betrayer senza spendere qualche parola sul suo peculiare stile visivo e sulle atmosfere che vuole propiziare. Le nostre peregrinazioni nella Virginia seicentesca sono infatti vincolate a un suggestivo bianco e nero ad alto contrasto, squarciato con ben poca delicatezza da pennellate di uno squillante rosso vermiglio (o rosso sangue, se preferite) in corrispondenza di oggetti raccoglibili, punti d'interesse e nemici; mentre i segmenti nel dominio dei morti il tema monocromatico assume apertamente i contorni dell'incubo a occhi aperti, con una predominanza di soffocante tenebra, o alternativamente, con una coltre di livida, "silenthilliana" nebbia. Invero è presente anche la possibilità di ripristinare una più convenzionale visuale a colori... Ma, dico, a che pro uccidere sul colpo quello che non solo è un valore aggiunto estetico, ma anche una componente fondamentale del carisma e del'identità stessa del gioco? Già, perché in questo caso il comparto tecnico non si limita ad essere un orpello fine a sé stesso, ma si erge ad assoluto protagonista in quello che i Blackpowder vogliono farci vivere. Se iol look unico è la prima cosa ad attirare l'attenzione, è il sonoro a suggellare il mood che ci accompagnerà per le prossime 7-8 ore. Scordatevi elaborati score orchestrali, inquietanti campionamenti industrial e compagnia bella, qui l'unica musica che sentirete è quella offerta dalla natura, con una netta predominanza del suono del vento, una presenza costante e instancabile. 
Betrayer, come pochi altri giochi sulla scena, riesce a valorizzare e nobilitare il quasi totale silenzio, rendendolo senza forzatura alcuna e con grande efficacia un elemento di primo piano. Non stupisca come una delle più importanti abilità in cui potremo imbatterci sia pensata unicamente per le nostre orecchie, dando la possibilità di ascoltare voci che dall'aldilà sapranno indicare la posizione di indizi, località e "persone" utili ai nostri fini. Il risultato audiovisivo d'insieme è infatti qualcosa di unico e magnifico, capace di farci letteralmente inghiottire dalla solennità  e la "purezza" degli ambienti, e allo stesso tempo alimentare senza un attimo di respiro lo scomodo sospetto -anzi, la certezza- che questa sorta di paradiso terrestre sia in realtà innaturale, corrotto, e meno che felice della nostra presenza.
Coerentemente, il ritmo generale tende verso una cadenza lenta che spinge ad esplorare le vaste aree giocabili con passo misurato e prudente, penalizzando qualunque velleità di adottare un piglio da spacconi con un ingiustificato surplus di autostima. Dopotutto, il diciassettesimo secolo non è tempo di M16, lanciarazzi e BFG; e le stesse armi da fuoco disponibili, in un contesto di sopravvivenza in solitaria, offrono più controindicazioni che vantaggi, col risultato che vi verrà spesso spontaneo barattare la potenza del vostro moschetto a colpo singolo con la maggiore velocità e discrezione di un arco, una balestra o una cara vecchia coltellata a sorpresa. Pensare da cacciatori e non da marine intergalattici è la strada più funzionale nonché gratificante per affrontare o eludere i vari conquistador demoniaci, guerrieri pellerossa spettrali, spettri e le altre amene creature ostili minimizzando i rischi di essere reclutati tra le anime perdute di cui la zona offre una selezione già fin troppo nutrita. Un punto a favore degli amanti degli stealth games, che sicuramente si divertiranno con questa variante rigorosamente outdoor, ma vale la pena precisare che non è nel combattimento il piatto principale di Betrayer. Come in verità non lo è alcuno degli aspetti del gameplay vero e proprio: a volerci soffermare, la varietà e complessità delle meccaniche non è sono nulla di strabiliante, e l'effetto novità alla distanza finisce per risentirne. Piuttosto, il titolo di Blackpowder Games campa di atmosfera e narrazione, mandando a segno in questo senso i colpi migliori. Prendendo spunto dalla misteriosa storia della colonia di Roanoke (di fatto la prima ghost story d'America), il team ha saputo imbastire un plot avvincente, ad alto impatto emotivo e non privo di sorprese. Tipo, vi ho già detto che la nostra investigazione si basa unicamente sulle testimonianze di fantasmi? Sorprendentemente, per una volta non stiamo parlando di anime dannate e consumate dal rancore, ma bensì di patetici spiriti condannati a una 
perpetua letargia, con una memoria decisamente ballerina riguardo alle proprie vite e morti (per i miracoli devono ancora attrezzarsi, mi sa), il nostro compito è di risvegliare la memoria di questi poveracci  tassello dopo tassello, portando loro testimonianze dei -furono- amici, commilitoni, mogli e amanti, oppure mostrargli oggetti legati al loro fato. Ad ogni indizio svelato avremo resoconti più dettagliati, e puntualmente sempre più drammatici. Perché, non dimentichiamolo, non possono esserci lieto fine in una storia intrisa di sofferenza, sentimenti infranti e tradimenti. Come può suggerire il titolo, è quest'ultimo concetto a rappresentare il fil rouge che lega tutto l'intreccio di vite spezzate, illustrandoci pugnalate alle spalle (sia metaforiche che letterali) in un'inquietante varietà di modalità, motivazioni e implicazioni, dove non è  sempre così semplice riuscire a tracciare un giudizio morale privo di ombre e ambiguità. Quel che invece è costante, è il tono assolutamente depressivo, sempre più pesante ad ogni progresso compiuto. 
Passate le 8-9 ore per giungere meritatamente all'epilogo, la sensazione è quella di aver giocato qualcosa di unico nel suo genere. Betrayer non è perfetto, forse un budget maggiore avrebbe giovato nel limare qualche spigolosità e conferire una maggiore profondità al gameplay, ma concettualmente il lavoro di Blackpowder Games risulta perfettamente compiuto ed efficace. Se cercate un survival horror fuori dagli schemi e sapete apprezzare una storia avvincente, non serve guardare oltre, la vostra fiducia e il vostro portafogli non si sentiranno traditi.


Voto: 8/10

martedì 1 aprile 2014

Recensione videogioco: BlackSoul: Extended Edition






Titolo: BlackSoul Extended Edition
Anno: 2014
Sviluppatore: XeniosVision
Distributore: Steam
Piattaforme: PC

Ci sono un sacco di cose che noi italiani sappiamo fare bene, tipo santi, poeti e navigatori, non ce la caviamo malaccio neppure come pizzaioli, suonatori di mandolino o stallieri di ex Presidenti del Consiglio. Ma per quanto possiamo sforzarci di espandere l'elenco, quella dello sviluppatore di videogiochi non è certo annoverabile tra le carriere in cui il Belpaese possa vantare una tradizione più o meno gloriosa. Certo, abbiamo Milestone che s'è ritagliata un nome di tutto rispetto nel campo dei simulatori motoristici, abbiamo una divisione di Ubisoft pure piuttosto attiva (seppure soprattutto su porting, titoli minori e supporto ad altri team del colosso francese), ma è pacifico che siamo decisamente lontani anni luce dal poter parlare di una vera e propria scena videoludica italiana. Immagino c'entri qualcosa con la riluttanza che abbiamo sviluppato verso l'investire sulle nuove tecnologie, o con un'industria dell'intrattenimento attualmente a corto di idee e da tempo cristallizzata in un limbo di scoraggiante provincialismo... ma ok, sto iniziando a diventare retorico e rompicoglioni più del dovuto, e per scongiurare il rischio di finire per chiamare in causa Gioventù Ribelle, vengo subito al punto: BlackSoul è un gioco creato dai romani XeniosVision che tramite Steam è riuscito ad ottenere visibilità e distribuzione su scala mondiale, e già questo dovrebbe far notizia.
Nello specifico, BlackSoul è un survival horror che grida da ogni pixel il proprio amore per la vecchia scuola del genere -Resident Evil classici in primis- e che proprio agli irriducibili nostalgici di quell'epoca intrisa di atmosfere da B-movie, rompicapo surreali, armamenti limitati, zombie stupidi e Jill sandwiches vuole rivolgersi. E curiosamente, per quanto all'interno di un contesto di stra-nicchia all'interno di un panorama tutt'altro che affollato, esiste già un precedente di orrore tricolore nel non esaltante I'm Not Alone, con cui peraltro BlackSoul condivide il motore grafico, l'S2 di Profenix. Decisamente più unico è invece il setting dell'opera di XeniosVision, che ci proietta nei più lugubri angoli dell'Inghilterra rurale degli anni '70, ove una misteriosa epidemia che apparentemente tramuta le persone in killer psicotici spinge la giornalista Ava a recarsi sul luogo per fare luce sull'accaduto, il tutto naturalmente senza il bencheminimo riguardo per la propria salvaguardia (non mi stupirebbe affatto un qualche grado di parentela con il protagonista di Outlast). Sarà compito di Ada e del fratello Sean (non inganni il look da clochard, almeno lui è sufficientemente lucido da portare con sé un'arma fin da principio) farsi strada in mezzo a un'orda di non morti affamati e una selva di serrature rotte, chiavi nascoste nei luoghi più improbabili ed enigmi disseminati ad ogni angolo, alla ricerca della verità dietro alla trasformazione di una ridente comunità in una sorta di happy hour a cielo aperto per cadaveri non particolarmente disposti a riposare in pace.
A prima vista, gli ingredienti per compiacere il pubblico di riferimento sono presenti e ben allestiti: un'atmosfera spettrale e deprimente, coadiuvata da una struttura che miscela esplorazione, combattimenti, e una disponibilità di risorse che toglie la voglia di comportarsi da cazzoni dal grilletto facile, o viceversa, da novelli berserker pronti a caricare a testa bassa come se non ci fosse un domani (o un limite negli oggetti curativi). Com'è che dicevo? Ah giusto, "vecchia scuola".
La devozione e la volontà di omaggiare un'era videoludica che fu è del tutto evidente e limpida da parte dello studio capitolino, al punto di adottare scelte di design oggi considerate obsolete, come lo sviluppo del plot affidato interamente a diari testuali racimolati nel corso dell'avventura, il ritmo generalmente molto lento e una gestione delle telecamere a inquadratura fissa dal sapore cinematografico (che tuttavia abbandonerete subito in favore della più pratica visuale in terza persona; da apprezzare in ogni caso la possibilità di scelta). Non manca nemmeno quel gusto per i puzzle surreali che pare animato dallo stesso spirito per cui, a Raccoon City, chiunque voglia solo andare al cesso di casa propria, deve necessariamente recuperare la chiave dell'armatura, sbloccata inserendo i quattro emblemi dei punti cardinali nella statua del leone d'argento nascosta in un passaggio segreto in cantina raggiungibile utilizzando la manovella ettagonale nella toppa visibile solo attivando nella giusta sequenza la serie di quadri raffiguranti passaggi del Deuteronomio. 
Insomma, le idee ci sono, e non mancano affatto di coerenza nè di potenziale interesse per la nicchia di pubblico prescelta. Ma la realizzazione? Qui purtroppo torniamo al punto iniziale: lo sviluppo di videogiochi in Italia è una realtà ancora molto lontana dal possedere una propria maturità, e i ragazzi di XeniosVision, per quanto evidentemente entusiasti e volenterosi, si trovano a cozzare con tutti i limiti del caso, nei mezzi e nell'esperienza.
Per dire, inizio subito dal punto più dolente: i combattimenti sono la parte peggiore del gioco, e per distacco. Monotono, semplicistico, macchinoso, frustrante, buggato. Qualunque aggettivo men che lusinghiero applicabile a un fighting system, ha qui una sgradevole rappresentanza. La varietà delle creature ostili è qui nulla: al di là delle differenze cosmetiche, e i differenti parametri di velocità, resistenza e danno inflitto, gli zombie designati a mangiare il nostro piombo hanno dal primo all'ultimo lo stesso identico comportamento. E neppure un pattern particolarmente raffinato, nemmeno rispetto agli standard della categoria: stare piantati come paletti fino al momento in cui un potenziale bocconcino si avvicini a sufficienza o abbia l'idea di annunciare la sua presenza con un'allegra pistolettata. Da lì, dritti alla carica e vabbè, sticazzi della notoria compostezza british. Dal punto di vista del giocatore, il processo non è tanto meno meccanico: eliminare dalla distanza a minaccia col giusto numero di proiettili a segno, o alternativamente, andare al risparmio e far valere educatamente le proprie ragioni a sprangate, sperando di non ciccare il tempismo nella tediosa serie di click implicata, e che le hitbox ballerine siano clementi. Poi certo, la fuga resta un'opzione (quasi) sempre percorribile, ma la gargantuana mole di backtracking evidente fin dalle prime schermate rende manifestamente sconsigliabile qualunque velleità di un approccio stealth/pacifista/cagasotto che sia. Invero, non che manchi un certo tentativo di inserire una componente "tattica" negli scontri, tipo le diverse situazioni con nemici multipli all'attacco da più direzioni, in cui è necessario valutare un piano d'azione in base alla velocità e pericolosità dei frollati assalitori, e il relativo armamentario per avere le maggiori possibilità di uscirne vivi. Giusto, quasi dimenticavo: con la più bieca e inesplicabile arbitrarietà, molti dei non morti sono in grado di farci fuori istantaneamente con un solo colpo inflitto; e magari si tratta proprio di quei gentiluomini dalle capacità atletiche di Usain Bolt contro cui abbiamo un margine di contrattacco pari a qualche nanosecondo; senza contare che qualunque morso zombesco, a prescindere dal danno inflitto, genera un'infezione che toglie rapidamente energia nel tempo, fino all'utilizzo di un apposito antidoto (manco a dirlo, uno degli oggetti più rari disponibili), o naturalmente, a uno spiacevole decesso.
Resta francamente inspiegabile come una componente d'azione retta su basi tanto zoppicanti abbia finito per ritagliarsi un peso specifico così preponderante nell'economia del design, al punto di ispirare aree interminabili ad elevata densità di scontri e l'intera seconda metà del gioco (e parliamo di un titolo durevole attorno a una sorprendente quindicina sorprendenti ore) dichiaratamente sbilanciata sull'uso di forza bruta. Una falla nella struttura che si fa sentire ben al di là dei limiti tecnici, dei vari bug e crash riscontrabili, dello schema di controlli non troppo user friendly (cioè, accetto tranquillamente i controlli tipo tank, ma potersi voltare unicamente via mouse non è il massimo, specie nella visuale "classica"), dei tempi di caricamento di proporzioni bibliche e tutte le altre magagne che altrimenti sarebbero risultate tutto sommato digeribili dinnanzi a quanto di buono riesce a sfoggiare questo umile videogame. 
Già, perché nonostante tutto, come può suggerire il titolo, BlackSoul ha un'anima. Magari di seconda mano e tutt'altro che immacolata, ma non per questo incapace di far valere una propria dignità. Difficile, se si è cresciuti a pane e horror targati Capcom/Konami/Infogrames, non respirare assaggi di quel carisma in quei frangenti in cui XeniosVision decide di ingranare la marcia dell'esplorazione più riflessiva e dell'atmosfera pura. Perfetto esempio sono le escursioni nei labirintici ambienti interni, dove la messa in scena degli scenari (altrimenti generalmente blanda) regala numerosi picchi di gusto e suggestività, e dove gli sviluppatori hanno maggiormente modo di dimostrare di aver imparato bene la lezione dei "grandi vecchi" per quel che concerne la progettazione di enigmi interessanti e piacevolmente impegnativi. Mettiamo in conto anche una colonna sonora di livello più che adeguato e un certo talento narrativo che traspare nei documenti deputati a portare avanti la trama (un rammarico come la loro scarsità e dislocazione renda sfilacciato e alla fine dei conti 
incompleto un plot che avrebbe certamente meritato più cura), per restituire un pò di giustizia ai buoni intenti dell'esordio di questa piccola sofware house, percepibili anche senza voler chiudere gli occhi su una realizzazione non altrettanto riuscita. Può bastare questo per giustificare un acquisto da parte di un semplice "curioso"? Spiacenti, no. Per quanto riguarda la sottile fetta dei survivalhorroristi di vecchia data alle prese con un'irrefrenabile crisi d'astinenza verso un genere praticamente in via d'estinzione? Non ne sono sicuro... ma un tentativo non lo escluderei del tutto, non si sa mai che BlackSoul riesca a toccare le corde giuste e farvi rivivere qualche oretta nel più onesto omaggio per i cari vecchi tempi.
E sì, è comunque meglio di Gioventù Ribelle. 


Voto: 5,5/10

venerdì 14 febbraio 2014

Recensione videogioco: Dementium II HD




Titolo: Dementium II HD
Anno: 2013
Sviluppatore: Memetic Games
Distributore: Digital Tribe
Piattaforme: PC, Nintendo DS (edizione originale)
Piattaforma testata: PC

Vabbè, a un certo punto sono io che me le vado a cercare.
Per farla in breve, Anno Domini 2013, 17 dicembre, il giorno in cui qualunque horrorofilo in possesso di un account Steam potè finalmente sollazzarsi col primo episodio della nuova attesissima serie di The Walking Dead, il gioiello a episodi targato Telltale che non solo ha arricchito un brand di qualità sublime di una nuova splendida incarnazione e dato un'ulteriore botta di vita e innovazione al genere dell'avventura grafica, ma anche offerto quella che è probabilmente la miglior esperienza videoludica in assoluto del 2012. E anche il giorno del lancio del molto meno atteso Dementium II HD, porting in (presunta) alta definizione del secondo capitolo di una saga di survival horror in soggettiva discretamente popolare su Nintendo DS, e perlopiù sconosciuta in qualunque altro ambito. Indovinate un pò su quale delle due nuove uscite mi sono buttato a scatola chiusa? Povero stronzo che sono.
Informandomi in un secondo tempo, scopro che la serie Dementium si è guadagnata una certa fama nell'utenza DS grazie alle atmosfere inquietanti, il grado si sfida moderatamente impegnativo e una qualità visiva non indifferente per gli standard dell'acclamato portatile di casa Nintendo. E in effetti quello che i due capitoli della saga originariamente sviluppata da Renegade Kid hanno potuto offrire al pubblico del piccoletto della grande N, è qualcosa di sostanzialmente unico nel suo panorama, e non certo privo di pregio: a partire dal concept stesso della miscela tra FPS e survival horror, passando per una grafica 3D notevole per l'umile hardware DS, un sistema di controllo competente, e un buon grado d'intrattenimento ampiamente riconosciuto tra critica e pubblico. Ora, chi l'avrebbe mai detto che trasportare di peso questa formula su PC, con la sola accortezza di introdurre un supporto a mouse e tastiera vagamente funzionante e un'opzione per poter ammirare alla risoluzione widescreen di vostro piacimento la grafica da PSone, avrebbe potuto funzionare?
Seriamente, Dementium II HD è qualcosa di francamente impossibile da prendere sul serio, figuriamoci da giustificare l'investimento di una somma per cui, nello stesso store digitale, è possibile portarsi a casa un Amnesia a caso, l'intera saga di Penumbra più Afterfall Insanity o due copie di Lone Survivor; giusto per limitarci ai soli titoli indipendenti. E questo anche senza aspettativa irragionevole, se non la semplice pretesa di trastullarsi con uno sparatutto vecchia scuola e buzzurro al punto giusto, tra scenari da horror di serie B e uno stock di mostriciattoli più o meno pittoreschi con cui dipingere di rosso la parete più vicina, magari con di mezzo quel minimo di esplorazione, puzzle solving e basilare gestione delle risorse per giustificare la componente "survival". Dementium II HD non riesce ad essere nulla di tutto ciò, incapace di andare oltre il mero concetto di "gioco per DS trasportato a forza su PC pure con qualche anno di ritardo", roba che a confronto, anche un maiale selvatico catapultato nel bel mezzo del gran ballo delle debuttanti riuscirebbe ad apparire meno fuori luogo e inadeguato. Scusate se sto diventando ripetitivo, ma è semplicemente impossibile analizzare qualsiasi aspetto di questo gioco senza finire a scontrarsi con questo abnorme handicap di fondo. Per esempio, della qualità grafica vi ho già accennato, e non esiste alcun suffisso "HD" al mondo capace di rendere più presentabile di quel che è un comparto visivo che pare vecchio più o meno di tre lustri, e perlopiù disseminato di textures ributtanti e accorgimenti che, tolti dal contesto hardware originale e dal'effettiva resa su uno display da 3" a 256x192 pixel, sono semplicemente da vedere per credere. Tipo, essere inseguiti da terrificanti... sprites bidimensionali. Che dovrebbero essere spettri o qualcosa del genere. E che tutto sommato, possono regalarvi i momenti più -involontariamente- divertenti di questa esperienza, per cui onore a voi, o Pixellose Presenze Oscure!. E, giusto per infierire, stiamo parlando di un gioco che 
originariamente faceva proprio del comparto tecnico il suo principale punto di forza.
Per il resto, che lo si voglia inquadrare come uno sparatutto o come un survival horror, Dementium II HD risulta inevitabilmente qualcosa di modesto. La promessa di uno shooter classicheggiante è rispettata unicamente a proposito della stupidità dei nemici e la limitatissima componente strategica negli scontri, ma non per quanto riguarda il ritmo veloce, l'impegno richiesto e soprattutto il divertimento implicato. Manco a dirlo, la comodità di movimento e mira garantite dalla premiata ditta mouse+tastiera bastano e avanzano per uccidere sul nascere il grado di sfida di queste sparatorie, tarate per venire incontro a un sistema di input subordinato a una croce direzionale e a un non troppo pratico schermo touch screen. Questo anche considerata l'implementazione non esattamente da manuale dei comandi, per cui i movimenti appaiono sempre fastidiosamente "scivolosi" e la mira è spesso inspiegabilmente imprecisa, al punto che probabilmente smetterete presto di perdere tempo con pistole e cannoni assortiti, e iniziare a farvi strada corpo a corpo comunque senza il minimo sforzo; vanificando nel contempo la relativa avarizia di munizioni e rifornimenti con cui il gioco vorrebbe incoraggiarvi ad agire con la stessa parsimonia e spirito di sopravvivenza che adottereste per un vecchio Resident Evil, ma che invece non vi impedirà di arrivare ai punti più "critici" con una smisurata e rassicurante scorta di pallottole. 
Poco oltre riesce a partorire la componente survival horror, dispersa tra un'esplorazione degli ambienti basilare e una risoluzione di enigmi il cui massimo risultato è qualche rompicapo a livello da smartphone, reso ulteriormente meno stuzzicante dall'assenza dell'interfaccia touch. Riponete infine qualche ultima flebile speranza in trama e setting? "Silent Hill: vorrei ma non posso. E neanche riesco a narrare decentemente quel poco che posso". Nessun lieto fine da queste parti, nessun margine di redenzione per un progetto con ogni evidenza nato morto e completamente incapace di nasconderlo.
Non me ne vogliano i ragazzi dell'esordiente studio Memetic Games, ma questo è un esempio da manuale di come NON si dovrebbe sviluppare, pubblicare ed esporre al giudizio del mondo intero un videogame, oltre che un monito ai posteri contro qualunque porting al di là di ogni buonsenso. Per non parlare del mio pessimo senso degli affari in ambito videoludico.
Su, Pixellose Presenze Oscure... fatemi ridere un pò che ne ho proprio bisogno.


Voto: 4/10

domenica 9 febbraio 2014

Recensione videogioco: Aliens: Colonial Marines





Titolo: Aliens: Colonial Marines
Anno: 2013
Sviluppatore: Gearbox Software, Nerve Software, TimeGate Studios
Distributore: Sega
Piattaforme: PC, XBox360, PS3
Piattaforma testata: PC



Pensate alla saga di Alien, e in particolar modo al secondo capitolo, quello "Scontro Finale" che, spingendo al massimo sul pedale dell'azione e dell'adrenalina senza tuttavia sacrificare spaventi e spessore narrativo, risulta tuttora una delle massime vette qualitative della celeberrima serie fanta-horror, nonché una genuina fonte di libidine per qualunque amante del genere, e del buon cinema in generale. Ci siete? ora immaginatevi cosa possa essere un sequel diretto della pellicola di Cameron sotto forma di sparatutto in soggettiva di nuova generazione, con tanto di luoghi e personaggi del film rivisitati ad hoc. E per giunta, rispetto ai precedenti di alto profilo dei videogiochi marchiati Alien vs Predator, niente crostacei con pettinature rasta di mezzo a interferire con la parte migliore e dal maggior potenziale di brividi: dotarvi di armatura, fucile a impulsi e rilevatore di movimento, ed essere spediti in qualche angolino oscuro della galassia, dove un intero esercito di bestie aliene letali, agguerrite e dotate di fattezze disturbantemente falliche, è pronto a farvi a pezzi, o se proprio, utilizzarvi come incubatrici viventi per i loro pucciosissimi pargoli. Il tutto in quel contesto di irresistibile cafonaggine, cameratismo da curva sud e di "escono dalle fottute pareti!!" proprio del glorioso corpo dei Marines Coloniali degli Stati Uniti. Ok, vi siete fatti un'idea e delle aspettative?
Bene, ora Aliens: Colonial Marines vi illustrerà punto dopo punto come buttare laconicamente alle ortiche tutto quel ben d'Iddio di potenziale di cui vi ho appena narrato.
Giusto per cominciare e per individuare subito il problema di fondo, stiamo parlando di un gioco nato da una storia produttiva per cui il termine "infernale" sarebbe solo un blando eufemismo: i 7 anni passati dall'annuncio del progetto alla release ufficiale sono stati un grottesco susseguirsi di ritardi, recriminazioni tra developers e editore, spacchettamenti dello sviluppo tra uno studio e l'altro, stop più o meno lunghi alla produzione e un pò di altre cose che tendono a non giovare un granché alla qualità del prodotto finale. Di fatto, è un mezzo miracolo che nonostante tutto Colonial Marines sia infine riuscito ad approdare sugli scaffali, seppure sotto forma di un prodotto largamente incompleto e visibilmente sofferente di una genesi tanto travagliata, tant'è che l'utenza ha dovuto attendere un corposo incerottamento per avere tra le mani un gioco "solamente" mal riuscito e non una beta ai limiti di presentabilità. 
Prima di tutto, Colonial Marines, fallisce in quella che dovrebbe essere la prerogativa primaria di qualunque buono sparatutto, ossia la qualità degli scontri a fuoco. Avrete a disposizione un arsenale ricco e piacevolmente personalizzabile , una moltitudine di roba a cui sparare e un sacco di ottime ragioni per farlo; un'equazione virtualmente perfetta, ma che all'atto pratico si inceppa a causa di un design atrocemente fallato, tra un'IA indegna, Xenomorfi apparentemente a prova di proiettile, mercenari Weyland-Yutani (sì, sono ancora malvagi, e, no, non hanno ancora imparato a farsi i cazzacci loro) dalla mira ridicolmente infallibile, e un feedback delle armi generalmente pessimo. Insomma, quanto basta per tramutare quella che dovrebbe essere una gloriosa orgia di piombo, esplosioni e brandelli umani & alieni come se piovesse in un'esperienza eccitante più o meno quanto compilare un modulo alle poste. Peraltro, il design approssimativo non si limita a questo, ma si estende anche alla progettazione dei livelli (con poche eccezioni, blando e dimenticabile), la struttura delle missioni (che tenta di invocare una certa varietà di situazioni, ma ottiene ben poco di realmente interessante), e molti altri dettagli piccoli o grandi. Per fare un esempio, ho eletto come mia personalissima nemesi la disposizione dei checkpoint, allestita con una logica per cui è tranquillamente possibile essere subissati di autosalvataggi facendosi una tranquilla passeggiata, e subito dopo, sciropparsi una sequela di intense ed impegnative sparatorie (che -vi ripeto- non sono il massimo del divertimento) col rischio di dover ripetere tutto da capo qualora l'ultimo nemico capitasse di sorprendervi col caricatore vuoto.
Ma se è vero che il gameplay fa acqua da tutte le parti, il comparto narrativo risulta addirittura peggiore. Il plot è raffazzonato al massimo e tremendamente noioso (per non parlare del finale, che -senza spoilerare nulla- è l'equivalente digitale di un dito medio sparato in faccia al giocatore, con tanto di sottofondo di pernacchie e risate di scherno); la caratterizzazione dei personaggi, laddove Cameron ha costruito una buona fetta del successo del proprio film consegnando agli spettatori Marine dotati di personalità, carisma e credibilità come una vera squadra, qui non va oltre mettere in scena una galleria di fantocci monodimensionali e vagamente irritanti, condannati ad ogni passo a recitare dialoghi semplicemente al di là del bene e del male. Credetemi sulla parola, alla quarantanovesima volta nell'arco di mezz'ora che sentirete la frase "un Marine non abbandona un altro Marine", sentirete un impulso incontrollabile di mandare tuti quanti bellamente a cagare ed iscrivervi agli Obiettori di Coscienza Coloniali. Il fatto che siano stati riutilizzati setting e personaggi della saga cinematografica (addirittura modificando la continuity ufficiale), non può, in questo caso, che essere un'aggravante. Per dire, chiamare in causa lo Space Jockey e relativa nave, e riuscire a rendere il tutto così deprimentemente anticlimatico, è qualcosa che nessun nerd al mondo potrebbe e dovrebbe essere disposto a perdonare.
Infine, il comparto tecnico. In quello che ormai si sta delineando come un impietoso tiro a segno contro la Croce rossa armati di bazooka, neppure il fattore puramente estetico riesce a ridare dignità a un gioco ormai irrimediabilmente lanciato a tutta velocità sulla strada del sonoro flop: la veste grafica è assolutamente mediocre, e come se non bastasse, soffre di vistosi quanto penalizzanti crolli nel framerate, anche su PC più che attrezzati (non so come siano messe a riguardo le versioni per console); il sonoro, a fronte di uno score originale effettivamente valido, è contrassegnato da un design basilare e insipido, incapace di incanalare pathos o rendere più efficaci (diciamo pure, "rendere efficaci") quei momenti in cui il gioco vi vorrebbe fare un balzo dalla sedia, magari proferendo espressioni poco carine nei riguardi dei personaggi del catechismo.
Ma, alla fine, volete sapere la cosa peggiore riguardo ad Aliens: Colonial Marines? Poteva DAVVERO essere un buon gioco. Nonostante tutto, i problemi nello sviluppo, i fantatrilioni di difetti e quant'altro, c'è del potenziale che fa capolino qua e là. Magari sono dettagli, come il piacevole sistema di livellamento e di customizzazione dell'arsenale, magari sono i setting che, nonostante tutto, mantengono il loro fascino, magari è quel comparto multiplayer che in qualche maniera riesce ad essere sorprendentemente divertente (certo, chiudendo un'occhio sulle già note lacune della giocabilità e fino al momento in cui il lag prende con prepotenza il sopravvento); tutte cose che non riescono a nobilitare in alcun modo un bilancio desolantemente negativo, e che, anzi, non fanno altro che amplificare le recriminazioni per una grande occasione mancata. Il mio consiglio? Rimettete su il DVD/Blu Ray di Scontro Finale, impugnate un pad e fate finta che Colonial Marines sia proprio quel capolavoro che vi sta scorrendo davanti agli occhi. Non credo esistano altri modi per rendervi giustizia. 


Voto: 5/10