martedì 19 novembre 2013

Recensione videogioco: Outlast





Titolo: Outlast
Anno: 2013
Sviluppatore: Red Barrels
Distributore: Red Barrels, Steam
Piattaforme: PC, PS4
Piattaforma testata: PC




Mount Massive. Immerso nell'atmosfera rilassante che le montagne del Colorado sanno offrire, questo istituto psichiatrico (non so perché, ma credo che ne descriverò parecchi in queste pagine) chiuso da decenni a seguito di qualche trascurabile scandalo, ha recentemente riaperto i battenti grazie all'acquisizione da parte della Murkoff, una megacorporazione ASSOLUTAMENTE NON MALVAGIA e unicamente AI FINI DELLA PIU' DISINTERESSATA E LIMPIDA BENEFICENZA. Chiaro esempio di come questo schifo di mondo non sappia apprezzare chi fa del bene, il giornalista d'assalto nonché affermato ficcanaso Miles Upshur è per qualche oscura ragione convinto che quel manicomio nasconda tutt'altro che sorrisi e arcobaleni, e guidato da questo sospetto (oltre che da alcune anonime soffiate interne), fa quello che qualunque persona di buonsenso farebbe una volta messo al corrente di un luogo pericoloso, insanamente violento e depositario di segreti valevoli milionate di dollari: infiltrarcisi in piena notte e in completa solitudine ,armato unicamente di una telecamera digitale e un block notes. Ah Darwin, Darwin... Se fossi ancora tra noi, quante conclusioni interessantissime che potresti trarre dai protagonisti dei survival horror...
Comunque, messa opportunamente a cuccia la sospensione dell'incredulità su quest'aspetto, Outlast si rivela in men che non si dica un piacevolissimo esempio di sincerità da parte dell'industria videoludica: quel che i Red Barrel han promesso è un onesto gioco da cacca nei pantaloni garantita, e il risultato finale effettivamente lascia ben poco da recriminare, per il dispiacere dei vostri calzoni da gaming prediletti. Il tutto con una formula che a conti fatti è di una semplicità imbarazzante: visuale in soggettiva, nessuna possibilità di combattimento ma solo stealth e fuga, tanto buio ovviabile solamente attraverso la lente infrarossa della videocamera (batterie di scorta non incluse nella confezione) e un comparto tecnico curatissimo, giusto per non lesinarvi alcun particolare truculento o effetto sonoro da brividi (e a ogni angolo avrete l'imbarazzo della scelta in entrambi i campi). Fatta magari eccezione per quest'ultimo aspetto (almeno, per quel che riguarda la grafica), è difficile non pensare ad Amnesia: The Dark Descent e a quanto il titolo di Frictional Games sia diventato un nuovo punto di riferimento per i survival horror di nuova generazione che non abbiano alcun interesse a spacciarsi da action/sparatutto. Tutto vero, ma sono necessarie poche scampagnate tra gli accoglienti corridoi di Mount Massive per intuire una sostanziale differenza di tono: dove Amnesia è più un (grandioso) esercizio di stile nella costruzione della tensione in uno stile più classico e lovecraftiano, tra puzzle ricorrenti,  una gestione luce/buiodai risvolti perennemente ambigui e dove essere sorpresi da uno dei graziosi ospiti del castello Brennenburg equivale solitamente a un trapasso inevitabile; Outlast sceglie un approccio più diretto e sanguigno, senza tanto spazio per enigmi e in cui giocare al gatto e il topo con squilibrati più o meno mostruosi diventa una sgradita necessità in tutti quei casi in cui la via della furtività risulti un lusso impraticabile. Ritrovarsi a correre alla disperata, in completa confusione e senza alcun punto di riferimento con un maniaco omicida alle spalle sa essere parecchio ansiogeno, credetemi. E sapete la cosa più buffa? Fatta eccezione per alcuni pittoreschi personaggi che imparerete presto a conoscere, la maggior parte degli ospiti del manicomio non è nemmeno lontanamente ostile, ma la paranoia che avrete sicuramente nonché saggiamente imparato a coltivare nel corso dello svolgimento del gioco, unita alla notoria imprevedibilità dei soggetti classificabili come "pazzi furiosi", contribuiranno, a torto o ragione, a non sentirvi al sicuro ovunque ci sia anima viva.
Come detto, una cosa su cui Red Barrels punta moltissimo è l'aspetto visivo, e su quest'ennesima reincarnazione e tirata a lucido dell'Unreal Engine (ormai un autentico campione di longevità) c'è effettivamente poco di cui rimanere delusi: l'elevato livello di dettaglio degli ambienti è una costante tutt'altro che gradevole, nel senso che i grafici del team di sviluppo hanno avuto modo di sbizzarrirsi in ambientazioni ricchissime di dettagli inquietanti e splatter a piede libero; dove una semplice scia di sangue corredata di qualche frattaglia sparsa è esattamente il minimo che possiate aspettarvi. Non manca all'appello nemmeno un sonoro parimenti da brivido, giusto per completare un comparto tecnico curato quanto funzionale.
Insomma, tutto bene? Naturalmente no, e sebbene Outlast abbia tutto per placare con soddisfazione la brama di un buon survival horror anche a un nerd puntiglioso come il sottoscritto, da nerd puntiglioso quale appunto sono, non posso non citare qualche sbavatura in un quadro pur complessivamente soddisfacente: l'assoluta semplicità del gameplay di cui parlavo poc'anzi è per forza di cose limitativa, e l'unica soluzione perché queste meccaniche non finiscano per venire a noia prima dello scorrere dei titoli di coda, è tenere bassa la longevità: 4-5 ore massime sono sufficienti per arrivare alla conclusione, non che sia una tragedia per un gioco sotto i 20 euri e che quelle ore te le fa godere tutte, ma tant'è, siete avvisati. E nemmeno dovreste aspettarvi troppi sussulti dalla trama, che a fin dei conti risulta funzionale e nulla più, se non altro non perdendo l'opportunità di mettere in scena qualche personaggio interessante. Ma come vi ho detto, è puramente questione di essere nerd puntigliosi. Per chiunque di voi non abbia bisogno di difendere un'immagine da critico snob di fronte ai propri 5-6 lettori, vada pure sul sicuro. Outlast è esattamente quello che promette, e non vi deluderà. Scorte di biancheria permettendo. 



Voto: 8,5/10

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