martedì 10 settembre 2013

Recensione videogioco: Curse: The Eye of Isis




Titolo: Curse: The Eye of Isis
Anno: 2003
Sviluppatore: Asylum Entertainment
Distributore: Wanadoo
Piattaforme: PC, Xbox, PS2
Piattaforma testata: PC


Col senno di poi, gli Egizi sono sviluppatori di survival horror mancati.
Pensateci bene, e ditemi se esiste una civiltà tanto affine con questo genere: può bastare da solo l'esempio delle Piramidi, null'altro che esempi della villa Spencer ante-litteram; tra architetture improbabili, trappole mortali, enigmi come se piovesse e quella faccenda delle maledizioni, giusto per aggiungere folklore (e dare spunti per eventuali sequel). Questo senza contare il variegato pantheon, il fascino esercitato da quel popolo verso morte e aldilà, e un quantitativo di misteri lasciati indietro sufficiente per mantenere la famiglia Giacobbo per generazioni a venire. Credetemi, se gli Egizi avessero avuto accesso a PC e console, oggigiorno l'unica attrazione sulle sponde del Nilo sarebbero le schiere di plurimillenari uffici di affermate software house.
Quant'è vero che di tanto in tanto rimpiango questa storica occasione mancata, di pari passo mi sono sempre chiesto come quel contesto sia stato sistematicamente ignorato dall'attuale industria del genere, ed è con queste premesse che l'avvistamento nel leggendario cestone dei 5 euro di Blockbuster (R.I.P.) di Curse: The Eye of Isis ha riempito il mio cuore di aspettative disumane. "Roba egizia e Londra vittoriana" -pensava un me stesso fiducioso e ancora relativamente innocente, già in trepidante attesa alla cassa- "Chissenefrega se questo gioco non se l'è cacato nessuno, cosa mai potrebbe andare storto?"

[ATTENZIONE:SPOILERS]Beh, praticamente tutto.[FINE SPOILERS]

Già, perché sono bastati pochi minuti di gioco per porre fine a qualunque malriposto entusiasmo: Curse è un prodotto a dir poco miserabile, e malgrado il relativo impegno, proprio non riesce a nasconderlo. Invero, basterebbe soffermarsi giusto un istante sul primissimo impatto della veste grafica per far sorgere qualche orrendo dubbio: per quanto l'opera di Asylum risalga all'anno 2003 e sia edita per Playstation 2 e Xbox oltre che per PC, la qualità delle textures e il livello di dettaglio generale appaiono a tratti in ritardo di una generazione, senza peraltro alcuna apparente ambizione stilistica tale da assicurare perlomeno un briciolo di carisma. Dettaglio, questo, che il più delle volte può tranquillamente passare in secondo piano in nome di tutti quegli elementi che il raffinato horrorofilo sa apprezzare al di là della semplice apparenza, ma che in questo caso costituisce l'anticamera per la più grigia ed assoluta mediocrità. Curse: The Eye of Isis, infatti,  non riesce a far altro se non imitare senza troppa ambizione nè attenzione per la qualità il modello classico del survival horror, accontentandosi di una premessa accattivante sviluppata giusto quel minimo che basta per poterla sbattere su un DVD e sperare -appunto- che qualche povero babbeo finisca per accaparrarsela nel cestone dei 5 euro di Blockbuster (R.I.P.).
Game design? Meh. I vari ambienti sono strutturati senza grande ispirazione, e il backtracking tende a farsi più pesante rispetto alla media del genere (e non è di aiuto che i punti di salvataggio -affidati a un personaggio secondario che funge anche da "cassaforte" per oggetti in surplus- si spostino di volta in volta, a seconda dei progressi compiuti), gli enigmi tendono ad essere tutt'altro che stimolanti.
Plot? Meh. "Roba egizia e Londra Vittoriana", tempo di svolgimento 3 ore, affidato a un alunno non particolarmente invogliato e diretto verso l'obiettivo di un 6 stiracchiato. Arrivati ai titoli di coda, su quanto accaduto nelle ore precedenti scatta automaticamente il più inesorabile vuoto mnemonico.
Paura? Meh. O, per meglio dire, "non pervenuta". A meno che i ridicoli grugniti dei posseduti che affronterete per buona parte del gioco non vi rievochino bruttissimi quanto specifici ricordi. Tipo, quell'antipatica stitichezza che tanta frustrazione vi causò qualche annetto fa.
Sonoro? Meh. Vedi sopra. E aggiungiamo un doppiaggio spaventosamente goffo e una collezione di effetti sonori basilare e ben poco efficace.
Giocabilità? Me... No, beh, per essere onesti qui siamo soprendentemente entro la sufficienza, e forse addirittura qualcosina in più: i movimenti del personaggio principale (in realtà sono due, ma non cambia nulla) sono più fluidi e responsivi della legnosa media del genere. Poi ecco, in sede di combattimento, l'orrida gestione delle telecamere (fisse, come da tradizione) tende a rovinare tutto, ma almeno questo  diamo credito ad Asylum, giusto per non passare come stronzi cinici, oltretutto incazzati all'idea di avere investito maluccio 5 sudati euro.
Riassumendo: meh. Quanto potenziale sprecato, quanta deludente mediocrità, pur per una produzione evidentemente di seconda fascia, e verso la quale era dopotutto lecito non attendersi un capolavoro fatto e finito.
Ma quel che è peggio, la mia insoddisfazione resta. Vedo le Piramidi, Vedo la Sfinge, la Valle dei Templi, e mi chiedo: "Dove saremmo ora, se al posto di sfogarvi con l'architettura, aveste avuto la possibilità di sviluppare survival horror come Anubi comanda?" 

Voto: 4,5/10

Recensione videogioco: Corpse Party



Titolo: Corpse Party
Anno: 2010
Sviluppatore: Team GrisGris
Distributore: Xseed Games
Piattaforme: PSP, PSVita
Piattaforma testata: PSVita


Dunque, abbiamo un liceo da qualche parte in Giappone, costruito sul sito di una scuola elementare chiusa e demolita a seguito di una raccapricciante serie di rapimenti/omicidi, una proverbiale notte buia e tempestosa, 9 persone (8 bambocci ambosessi più la classica professoressa giovane, simpatica e ben avviata verso una proficua carriera nell'hentai) e un incantesimo trovato su internet, per suggellare un'amicizia per sempre o qualcosa del genere. Naturalmente qualcosa nel rituale va storto, e altrettanto naturalmente per i nostri baldi giovini le cose si metteranno fottutamente male.
Se le premesse di Corpse Party possano sembrare piuttosto banali (e non senza cognizione di causa, aggiungerei), vorrei invitarvi a non liquidare con superficialità l'opera di Team GrisGris, così come sarebbe un peccato farsi scoraggiare subito dal look 16 bit e dalle cutscenes in stile anime: quello che abbiamo di fronte è un signor survival horror, di quelli cupi, angoscianti e irrimediabilmente cattivi fino all'osso. E in realtà, nemmeno stiamo parlando dell'ultimo arrivato nel business del terrore videoludico: la saga, difatti nasce nel lontano 1996, con un omonimo gioco rilasciato per il NEC PC-9801 (personal computer allora molto popolare nel paese del Sol Levante), che negli anni ha generato svariati porting (tra cui il qui presente remake per PSP, a sua volta arricchito di un recente sequel) e spin-off, oltre che a diversi adattamenti tra carta stampata e animazione.
Comunque sia, nessuno dei miei 3 lettori si senta in colpa se il nome di questo brand suggerisce poco o nulla, in quanto la strada percorsa da Corpse Party è qualcosa di molto discordante dai canoni prediletti dai giocatori occidentali: se è vero che si può parlare di "survival horror", il termine va preso quantomeno alla lontana, così come -a tratti- la stessa definizione di "videogioco". Difatti, qui siamo più dalle parti dello squisitamente nipponico filone dei visual novels, dove il fulcro risiede nell'aspetto narrativo, intervallato da un effettivo gameplay ridotto all'osso (e in questo caso, non proprio esaltante) diviso tra avventura grafica, sessioni arcade e qualche flebile elemento RPG. Tradotto: passerete la maggior parte del tempo di gioco a leggere muri di testo più o meno interminabili (rigorosamente in inglese, giusto per la gioia dei non anglofili) tra un'occasione e l'altra in cui potrete far fare un pò di sano movimento al D-pad. 
E se neanche questo è bastato a farvi desistere... Beh, posso finalmente dire che vi meritate a pieno titolo di godervi un'ottima storia d'orrore. Se è vero che il plot è l'unica ragione razionale per avvicinarsi a un "gioco" del genere, Corpse Party, come detto, dimostra tutte le carte in regola per legittimare la popolarità accumulata in patria. La Heavenly Host Elementary School è un setting a dir poco disturbante, e sarebbe tale anche non fosse disseminata di cadaveri più o meno frollati e densamente popolata da spettri rancorosi, spiriti rassegnati e presenze occulte miscellanee. Se è vero che la veste grafica, che palesa la genesi attraverso RPGMaker con tutti i limiti del caso, non può offrire tutto sto gran apporto decisivo in sede di atmosfera, è il comparto narrativo a ricordarci costantemente e con buonissimi risultati che ci siamo trovato nel bel mezzo di una faccenda a dir poco spiacevole: l'incedere della storyline è una spirale discendente di angoscia e follia; non c'è linea di dialogo, non c'è appunto strappato dalle fredde mani morte di qualche nostro sfortunato predecessore, che non contribuisca a tenere in piedi il mood deprimente e disperato che aleggia su questa scuola fuori dal tempo e dalla grazia divina. Non aiuta nemmeno la caratterizzazione dei personaggi, che, a differenza dei giovinastri odiosi costituenti la carne da macello di qualunque slasher occidentale, risultano perlopiù bravi ragazzi realmente benintenzionati e devoti alla salvaguardia dei propri compagni/amici (al netto dell'occasionale psicopatico, giusto per ricordare che anche il Giappone va fiero dei propri stereotipi orrorifici), cosa che tende a sortire un certo effetto nel momento in cui il malcapitato di turno si trova puntualmente a fare una bruttissima fine. Giusto per calcare la mano su questo aspetto, va sottolineato che Corpse Party, pur nella sua pixellosità, cerca di limitarsi il meno possibile in quanto a splatter... E, vorrei ricordare, il cast è composto perlopiù da pargoli/ragazzini dai 16 anni in giù. Non si pensi che la crudeltà di questa storia conosca troppi limiti o tabù.
Insomma, il giudizio sulla trama è ampiamente positivo, anche al netto di qualche cliché e di quella tendenza marcatamente orientale a ingarbugliare il più possibile un intreccio altrimenti non così particolarmente confusionario; e questo può bastare per definire riuscito questo atipico survival horror.
Dopotutto, ho già rimarcato come non può essere il gameplay a doversi sobbarcare il prezzo del biglietto. E di come esso sia invero carente sia in quantità che in qualità. Non inganni l'interfaccia da GDR (altra palese eredità di RPGMaker) nel momento in cui i combattimenti sono completamente assenti e l'unico aspetto "ruolistico" sta nel compiere decisioni in determinati dialoghi o momenti cruciali (scelte che a loro volta serviranno solo sporadicamente a modificare il corso degli eventi, se non per sbloccare gli spesso gloriosamente truculenti "wrong endings" e relativa schermata di game over), in un contesto di altrimenti assoluta linearità. Il grosso della giocabilità vera e propria è piuttosto entro i canoni dell'avventura, divisa tra esplorazione, collezione di indizi & oggetti e risoluzione di enigmi facili facili, mentre il rimanente, nonché unico margine di "azione" risiede nei -per fortuna pochi- incontri con entità ostili, gestite fughe alla Pac-Man tanto semplicistiche quanto potenzialmente frustranti.
Un'ultima nota va al comparto tecnico, e non per girare il dito nella piaga nella già criticata grafica, quanto per elogiare il lavoro compiuto sull'audio. La colonna sonora, per quanto soffra di una certa ripetitività di fondo, offre brani di pregio, il doppiaggio è ampiamente sufficiente (almeno, questa è l'impressione del sottoscritto, che di giapponese non capisce un tubo) e il sound design, riesce in più occasioni a brillare e offrire un valore aggiunto alla costruzione dell'atmosfera.
In conclusione, dietro tante possibili controindicazioni, abbiamo un titolo assolutamente interessante e tutto sommato unico nel suo panorama (almeno, da una prospettiva occidentale). Decisamente non per tutti, ma al costo di un giretto sul PSN e 4 euro, Corpse Party può assolutamente meritare una chance. Potreste ritrovarvi con una gradita sorpresa... o mal che vada, imparerete a non fare cazzate all'interno della vostra scuola, nel caso sorga su un luogo maledetto.

Voto: 7/10

Recensione videogioco: Silent Hill




Titolo: Silent Hill
Anno: 1999
Sviluppatore: Konami (Team Silent)
Distributore: Konami
Piattaforme: PSX, PS3, PSVita
Piattaforma testata: PSX


Una tranquilla vacanza, un periodo di serenità e un modo di rendere felice la figlia adottiva Cheryl; questo nei pensieri del mansueto scrittore Harry Mason sulla strada per la cittadina di Silent Hill. Ma improvvisamente, apparizione di una misteriosa ragazza, una brusca frenata, uno schianto. Quando Harry riprende conoscenza, a circondarlo è solo un'innaturale nebbia, di Cheryl nessuna traccia. Sarà l'inizio di un incubo, per il malcapitato padre, e per i videogiocatori di tutto il mondo.
Correva l'anno 1999, e allora dire "survival horror" equivaleva di fatto a chiamare in causa la serie Resident Evil, giunta già al secondo capitolo e punto di riferimento più che assoluto nel suo genere, tra orde di zombie, mostruosi esperimenti segreti e quel delizioso feeling da B-movie ad alto intrattenimento. In questo scenario Konami ha fatto il suo ingresso di forza, proponendo una boccata d'aria fresca, e un sentiero del tutto complementare rispetto a quello tracciato dal gioiellino di casa Capcom. Da una parte un horror puramente cinematografico, diretto e un pò caciarone (nella migliore accezione del termine); dall'altra un approccio più sottile e introspettivo, popolato di metafore, ambiguità e dove lo spavento non è cercato con un "BU!" sparato a tutto volume nel momento giusto, ma piuttosto costruito sul progressivo sfiancamento dei nervi del giocatore. Silent Hill rappresenta l'alba del survival horror psicologico.
L'impatto rivoluzionario del titolo Konami infatti non è da ricercarsi nel gameplay (che invero non si discosta molto da lidi già conosciuti e collaudati), ma in una trama matura e sfaccettata -aspetto, questo, che verrà ulteriormente affinato & perfezionato nel proseguo della saga- e un comparto di orrore puro capace di mettere a durissima prova anche chi di "cheap thrills" e balzi sulla sedia vari ha fatto ampiamente indigestione.
Già nelle nostre primissime escursione per le strade della "ridente" città, avremo modo di conoscere un paio delle chicche che i premurosi ragazzi del Team Silent hanno escogitato per attentare alle nostre coronarie, e che della serie si confermeranno elementi iconici.
Il primo, naturalmente è la "cara" nebbia, una cappa opprimente che -talvolta intervallata da una coltre di buio assoluto misto neve fuori stagione- limita senza pietà il nostro campo visivo a pochi metri dal nostro naso, con tanti saluti a quel poco di senso di sicurezza che potremmo desiderare da un gioco di questo tipo. E, per la cronaca, siamo di fronte a un lampante esempio di "unire l'utile al dilettevole". Scelta abbastanza atipica per l'epoca (almeno nel suo genere), Silent Hill sfoggia un ambiente di gioco interamente tridimensionale ed esplorabile in tutta libertà, in controtendenza con gli sfondi prerenderizzati e il sistema di telecamere fisse che han fatto la fortuna di Resident Evil. Una buona idea per spezzare il senso di linearità e coinvolgerci a 360° nell'azione, ma anche una brutta gatta da pelare per la capacità di calcolo della cara vecchia Playstation; da qui, complice l'ispirazione a Stephen King e al suo -ottimo- racconto "The Fog", ecco l'idea del diabolico manto nebbioso e la relativa visuale extra ristretta. L'hardware PSX ringrazia, horrorofilo ancora di più, tant'è che nei capitoli successivi, con l'avvento di nuove generazioni di console e sparita l'esigenza "tecnica", il look distintivo delle strade di Silent Hill resterà immutato. Così come si imporrà come gadget irrinunciabile per molti futuri "ospiti" della città la radiolina portatile che intascheremo agli inizi della nostra avventura. Non ci sarà possibile sintonizzarla sulle canzoni di Gigi D'Alessio, ma scopriremo presto che il suo utilizzo ha risvolti solo leggermente meno inquietanti: la radio ha per qualche ragione la capacità di percepire la presenza di mostri nei nostri paraggi avvertendoci con poco rassicuranti scariche statiche; uno strumento utile quanto poco salutare per i nervi, e che oltretutto fornisce un incentivo a giocare a volume alto, in quanto sottrarsi al terrificante comparto audio comporterebbe uno svantaggio "tattico" non di poco conto, considerato che nel momento in cui finalmente potremo vedere un nemico, sarà solitamente un pò troppo tardi per farsi trovare preparati.
Questo ci porta a un altro dei fattori che hanno fatto di Silent Hill una pietra miliare dell'orrore videoludico, ossia il sonoro. Oggi sono in molti ad aver capito quanto un buon sound design possa fare la differenza in un survival horror degno di questo nome (prendete ad esempio Amnesia e Dead Space); 14 anni or sono il Team Silent è stato un vero e proprio precursore di questa tendenza, non sottraendo nemmeno le nostre orecchie al lento e costante assedio perpetrato ai danni del nostro sistema nervoso; l'uso del campionario di SFX, apparentemente "random", è in realtà orchestrato magistralmente per metterci sull'attenti quando meno ce lo aspettiamo, tra tonfi, pianti e quant'altro riesca a farci sobbalzare e aggiungere accrescere un senso di paranoia che non ci scrolleremo facilmente di dosso, nemmeno (o meglio, soprattutto) qualora le minacce "promesse" da quello che sentiamo non arriveranno a sfociare in un riscontro concreto (e giusto per ribadire il concetto, non contate troppo su spaventi "catartici" e liberatori, i buontemponi Team Silent sanno essere parecchio sadici).
A questo punto credo di essere stato abbastanza chiaro: Silent hill è un gioco spaventoso. Lo era senza alcun margine di discussione quando vide la luce, e rigiocato dopo quasi tre lustri (che videoludicamente parlando sono equiparabili in svariati secoli), è bello constatare che la magia funziona ancora; e d'altronde, se hardware, motori grafici e tecnologie fanno il loro tempo (e sì, parliamo di un gioco che a livello tecnico i suoi anni li dimostra fino all'ultimo), ci sono elementi che non raggiungono altrettanto facilmente l'obsolescenza.
Ma comunque, se è vero che non di sola paura vive il giocatore di survival horror, è cosa buona & giusta specificare che Silent Hill non sia affatto tutto stile e poca sostanza, e anzi, si rivela un survival horror solido, giocabile ed estremamente godibile. L'unico relativo appunto sul comparto di gameplay potrebbe arrivare giusto sulla difficoltà e il grado di sfida complessivo, che un giocatore già sufficientemente smaliziato nel genere difficilmente troverà particolarmente ostica. Se poi si proviene direttamente da Raccoon City e dintorni, quasi non pare vero di trovarsi di fronte tanta abbondanza di munizioni e oggetti curativi, per non parlare della relativa facilità con cui possono essere evasi gran parte dei combattimenti, e infine, l'inventario illimitato e nessun limite di salvataggi, alla faccia di nastri d'inchiostro e "scatoloni magici" tanto di moda dalle parti della "città del procione". Un discorso a parte, invece lo meritano gli enigmi che dovremo risolvere nella strada che ci separa da Cheryl, e tra un esempio e l'altro del più classico "trova l'oggetto giusto e piazzalo al punto giusto", ci riservano puzzle di inaspettata finezza, per cui un'adeguato utilizzo di materia grigia diventa un requisito non sindacabile. Konami non mancherà affatto di intuire le potenzialità di questo fattore, al punto che i successivi capitoli della serie includeranno un settaggio di difficoltà apposito per i rompicapo, così da garantire ai più temerari spremiture di meningi di tutto rispetto, o al contrario, agevolare la vita a chi preferisca concentrarsi sul lato più prettamente d'azione, o semplicemente godersi lo scorrere della trama senza troppi intoppi di qualsiasi natura.
Dunque, con questo siamo arrivati al termine di questa retrospettiva e come era schifosamente prevedibile, la conclusione non può che essere una: Silent Hill è un capolavoro, rigiocato 14 anni dall'uscita esattamente come agli occhi di un gamer della fine dello scorso millennio (ok, detto così suona strano...); e non è solo questione di valore storico (che pure, è a livelli stellari): se è vero che i sequel avranno modo di migliorare la struttura e sviluppare con esiti memorabili idee qui allo stadio embrionale, il capitolo da dove tutto ha avuto inizio riesce a confermarsi, anche a confronto con la prova del tempo, materiale di primissima qualità e un carisma inesauribile. Fatevi un piacere: recuperate questo gioiello.

Voto: 10/10

Qualcosa di cui si sentiva maledettamente il bisogno.

Signori miei, questo è un blog sull'horror. BU!

Spaventati? No? Sicuri? Sicurisicuri? Vabbè, ci ho provato. Evidentemente ho a che fare con un pubblico tanto allenato quanto maledettamente esigente. Tanto vale impegnarmi, e mettere a Vostra disposizione le mie questionabili conoscenze sul genere in ogni sua forma (cinema, letteratura, videogames, dichiarazioni di esponenti PDL ecc...), il mio altrettanto questionabile sfoggio di un linguaggio occasionalmente politicamente scorretto, e all'occorrenza il mio questionabile bagaglio di aggettivi e sinonimi; il tutto sotto forma di recensioni, o sporadici pensieri sparsi a tema. Questionabili, naturalmente.

Detto questo, buona permanenza e buon divertimento,

Il vostro carissimo & affascinante Andrea "Nex" Bruni.








Però cazzo, in Doom3 i BU! funzionavano...